L‘autofocus in fotografia è uno dei parametri assolutamente fondamentali che spesso sono determinanti per la scelta di una fotocamera da parte di un utente. Molti fotografi valutano in maniera quasi ossessiva il numero di punti disponibili, la tipologia di motore di messa a fuoco, le modalità a disposizione e molto altro, tuttavia, difficilmente ci soffermiamo a domandarci in che modo questo tipo di tecnologia possa venirci in aiuto. Questa guida dedicata all’autofocus si pone come obiettivo (non obiettivo fotografico eh, attenzione) quello di farvi capire cosa c’è dietro a questa particolare “funzione” o tecnologia odierna così essenziale.
Autofocus: cos’è e come funziona
L’autofocus (chiamato anche più semplicemente “AF”) è un tipo di automatismo che viene applicato agli obiettivi fotografici (ma può essere integrato anche nel corpo macchina per coadiuvare il funzionamento dell’ottica) e che permette di stabilire o mantenere automaticamente la messa a fuoco su un determinato soggetto.
In soldoni, si tratta di un sistema che ci permette di inquadrare il soggetto, fare una mezza pressione del pulsante di scatto, e fare in modo che la messa a fuoco sia giusta in base a quel “puntino” scelto all’interno del frame. Si tratta ormai di un sistema piuttosto scontato di cui viene ignorato il funzionamento perché, in fin dei conti, l’operazione di messa a fuoco tramite AF è diventata abituale. L’autofocus è presente in tantissimi dispositivi al giorno d’oggi: fotocamere compatte, fotocamere bridge, fotocamere mirrorless, fotocamere reflex, fotocamere medio formato, smartphone e anche action cam.
I vari sistemi di autofocus “semplici” o “entry level” si basano su un singolo sensore di messa a fuoco, mentre quelli avanzati consistono in un gruppo di sensori che agiscono all’unisono per velocizzare o rendere più precisa l’operazione di messa a fuoco. Ad esempio, ci sono alcune fotocamere che offrono anche più di 300 sensori (chiamati anche “punti di messa a fuoco”) ognuno con un controllo singolare o esclusivo e deciso dal fotografo al fine di mettere a fuoco il soggetto voluto, che si tratti di un soggetto fermo, in rapido movimento, a comparsa improvvisa e così via. Le attuali fotocamere sfruttano i dati ricevuti dal sistema di autofocus anche per aiutare nella misurazione della luce e permettere al corpo macchina di comprendere al meglio la modalità di misurazione dell’esposizione. Ciò significa che, grazie a questo automatismo, è possibile mettere a fuoco un soggetto in maniera estremamente rapida, cosa non paragonabile alla messa a fuoco manuale che si decide gestendo la ghiera dedicata sulle varie ottiche, operazione che, anche se effettuata da un fotografo con molta esperienza e conoscenza, richiede comunque più tempo rispetto all’AF.
Come funziona la messa a fuoco automatica?
La risposta non è così difficile, ma richiede una suddivisione in argomenti; prima di tutto, è giusto precisare che esistono due tipi di sistemi di messa a fuoco automatica: l’autofocus attivo e l’autofocus passivo.
L’autofocus attivo si basa su quella che viene definita come “emissione attiva”, cioè una tipologia di onde precisa (di solito infrarossi, ultrasuoni o la luce stessa) e sul calcolo preciso della distanza basato sul riflesso dell’onda da parte del soggetto inquadrato. Eseguita questa operazione, tali informazioni vengono inviate ad un processore specifico che attiva i componenti meccanici e fisici del motore di messa a fuoco installato all’interno dell’obiettivo sulla base dei dati estrapolati. Lo scopo di questa operazione, che di solito avviene nel giro di pochi millesimi di secondo, è quello di mettere a fuoco perfettamente il soggetto inquadrato o selezionato (cosa che di solito avviene da parte dell’utente scegliendo il punto di messa a fuoco con un Joystick o con un D-Pad installato sulla fotocamera).
La seconda modalità di autofocus è detta “passiva” ed è decisamente più utilizzata sulle fotocamere odierne che ben conosciamo. Tale tipo di AF è a sua volta diviso in due sottocategorie: a rilevamento di contrasto o a rilevamento di fase.
Diversamente dall’autofocus attivo, in quello passivo la scelta della messa a fuoco non viene effettuata attraverso “onde” bensì captando la luce stessa emessa in maniera naturale da un soggetto. Questa differenza permette una resa migliore dei sistemi di autofocus passivi che permettono quindi migliori performance in contesti di grande presenza di luce che, come ovvia conseguenza, possono subire rallentamenti o imprecisioni qualora la luce stessa scarseggi all’interno della scena.
Per risolvere la problematica di messa a fuoco nelle zone più buie, interviene un sistema di supporto dell’AF che è di solito costituito da una piccola emissione di luce direttamente dalla fotocamera tramite un flash o un reticolo ad infrarossi che garantisce il corretto focus sul soggetto inquadrato anche in condizioni di scarsa luminosità.
Vediamo però di approfondire al meglio i due tipi di messa a fuoco automatica passiva.
Autofocus a rilevamento di contrasto: come funziona
Come dice il nome stesso “a rilevamento di contrasto“, questo sistema si basa esclusivamente sulla misurazione, in pochissime frazioni di secondo, dell’effettivo contrasto fra varie versioni della stessa scena ottenute con il movimento meccanico dell’obiettivo. Ad ogni singolo spostamento della lente, corrisponde una fotografia con un piano diverso di messa a fuoco e, per tale motivo, al fine di determinare quello più giusto si comparano i vari frame per poi capire quale sia la foto con il maggior contrasto misurabile e, di conseguenza, la messa a fuoco migliore. Ovviamente, questo tipo di operazione viene eseguito dalla fotocamera in una frazione di secondo, cioè così velocemente che ci avete messo più tempo a leggere come funziona rispetto a premere a metà il bottone di scatto.
Il primo svantaggio importante di questa tecnologia è la quasi totale inefficacia in condizioni di scarsa luminosità. Oltre a questo, il sistema è complesso e risulta comunque lento rispetto agli altri sistemi (di cui vi parlerò tra poco). Questo significa che, nonostante il processo di comparazione scatti richieda pochi secondi, è anche necessario un importante carico di lavoro che deve gestire il processore d’immagine integrato nella fotocamera, motivo per cui l’operazione globale risulta comunque più lenta se rapportata al sistema a rilevamento di fase che vedremo a breve.
L’autofocus a rilevamento di contrasto è utilizzato maggiormente nelle fotocamere entry level e negli smartphone, così come nelle fotocamere compatte.
Autofocus a rilevamento di fase: come funziona
Il secondo sistema importante per quanto concerne i sistemi di messa a fuoco automatica passiva è quello chiamato “a rilevamento di fase“, quello che attualmente rappresenta al meglio la rapidità e la precisione. Per questo motivo, la maggior parte delle fotocamere in commercio oggi integrano un sistema di questo tipo, a differenza però dei prodotti più economici. Il sistema a rilevamento di fase integra un insieme di sensori, ognuno corrispondente ad un singolo punto di messa a fuoco, che vengono disposti a coppia. Ogni singolo sensore della coppia è adiacente all’altro e, nel momento in cui l’autofocus viene attivato, ognuno di essi riceve una versione diversa. In questo modo pertanto, l’insieme dei sensori viene utilizzato per gestire il processo di messa a fuoco automatica, dato che, per questo sistema, nel momento in cui la luce entra attraverso l’obiettivo e colpisce un insieme di microlenti, esse genrano due versioni della stessa immagine con una messa a fuoco lievemente diversa. Agendo in questo modo, e quindi colpendo il sensore di autofocus, saranno in grado di dare indicazioni circa le due versioni di scatti e comprendere quindi il punto migliore di messa a fuoco.
Pertanto, con tale operazione che sembra arzigogolata, il software della fotocamera è in grado di capire con precisione quanto e come spostare la lente (avanti o indietro rispetto al sensore fotografico) per poter fare collimare le due versioni degli scatti in un unico risultato perfetto. Ovviamente, se avete ben compreso il sistema, saprete anche che più punti di messa a fuoco saranno presenti nel sistema di autofocus e più precisa sarà la messa a fuoco (oltre che veloce).
Fino a qualche tempo fa, questo sistema di AF portava ad un problema non indifferente: per garantire la precisione del sistema di autofocus, veniva coperta al meglio solo la parte centrale del sensore, dando così un limite all’utente circa l’area effettiva di focus. Col passare del tempo e l’evolversi della tecnologia, questa cosa è cambiata e ora è possibile avere punti di messa a fuoco anche ai bordi del sensore (e quindi del frame). Basti pensare, ad esempio, a fotocamere mirrorless come Sony A7III che offrono ben 693 punti di messa a fuoco per una quasi totale copertura del sensore, caratteristica che permette al fotografo di gestire i soggetti all’interno del frame a piacimento.
Autofocus: principali modalità utilizzabili
Le modalità di messa a fuoco automatica sono molte ed estremamente variabili in base alla fotocamera che decidete di acquistare. La buona notizia però è che potrete apprendere le modalità principali, cioè quelle presenti su tutti i corpi macchina attuali indipendentemente dalle funzioni secondarie. Tali funzioni secondarie sono infatti estensioni e possibilità di utilizzo diverse delle modalità principali di un sistema di autofocus.
Badate bene però: sebbene le principali modalità siano sempre uguali (bene o male), molti produttori applicano nomi diversi per gestire le operazioni che comunque, in un modo o nell’altro, vengono effettuate da tutti i sistemi AF delle fotocamere. Comprendendo quindi a fondo il funzionamento delle modalità principali elencate qui sotto, vi basterà poi confrontarle con quelle all’interno della vostra fotocamera per realizzare che:
- Sono uguali (tutto a posto, ti è andata bene);
- Sono diverse (devi capire il tuo produttore che nome dà alle varie funzioni);
- Sono uguali a quelle presenti qui ma ci sono delle funzioni ulteriori che non capisco (si tratta di funzioni secondarie ed è un bene, perché puoi avere risultati migliori o possibilità maggiori, ma devi leggere il manuale di istruzioni per capire cosa puoi fare nel dettaglio);
Autofocus: modalità a punto singolo
La modalità di AF a punto singolo, detta anche “modalità singola“, permette al fotografo di scegliere autonomamente il punto di messa a fuoco e di focalizzarsi su quello. In questo caso quindi il software che elabora i dati di messa a fuoco all’interno della fotocamera si concentrerà su quel tipo di punto singolo e solo per quella zona del frame. Pertanto, ad esempio, se avete un soggetto sulla intersezione di destra e il punto è spostato a sinistra, tale soggetto non verrà mai messo a fuoco, dovrete fisicamente spostare il punto (tramite Joystick o D-Pad) verso quel soggetto (che può essere un oggetto, una persona o qualsiasi altra cosa vogliate fotografare).
Questo tipo di modalità e tutte quelle secondarie sono particolarmente indicate per la fotografia paesaggistica e la fotografia ritrattistica, in quanto si tratta di generi con soggetti statici in cui potete prendervi tutto il tempo per mettere a fuoco, scattare, impostare di nuovo, controllare e così via. Come descritto nella guida dedicata alla fotografia di ritratto, se usate l’AF singolo per fotografare una persona, ricordatevi di mettere il punto di messa a fuoco proprio in corrispondenza di uno dei due occhi, parte che dev’essere a fuoco necessariamente. Questa modalità non è consigliata, come avrete capito, per fotografia dinamica o soggetti in movimento. Nella maggior parte delle fotocamere, questa funzione viene indicata con “AF-S“, ma potreste trovare anche “Single point AF” e simili. Tendenzialmente, una “S” è sempre presente. Canon, ad esempio, la chiama “ONE SHOT“.
Autofocus: modalità continua
Probabilmente, già dal titolo avrete capito e intuito ciò che può offrire questa funzione. A differenza della modalità AF-S, quindi con un singolo punto che dovrete fisicamente spostare voi per trovare il soggetto, con la modalità continua la fotocamera non smette di focheggiare e, pertanto, questa modalità è particolarmente indicata per contesti fotografici dinamici, come la fotografia sportiva o la street photography.
La modalità di Autofocus continua è quindi in grado di correggere la messa a fuoco istantaneamente e continuamente nel caso in cui il soggetto all’interno della foto si sposti. Premendo quindi il tasto di scatto a metà corsa, la fotocamera continuerà a focheggiare fintanto che non decideremo di eseguire una pressione completa ed effettuare lo scatto. Un possibile derivato (o modalità secondaria) della messa a fuoco continuativa è il tracking (che poi si evolve in 3D tracking, Object Tracking, Eye tracking, Animal Eye Tracking e così via), che dall’inglese si può tradurre con “puntamento” (più che “tracciare”). Il tracking, in tutte le sue sfaccettature, ha rivoluzionato il lavoro di fotografi che si occupano di fotografia dinamica, come appunto la fotografia sportiva, la street e così via.
Il funzionamento è permesso grazie al continuo focus e ad un intelligente algoritmo che è in grado di rilevare un preciso punto all’interno del frame (tipo un occhio, ad esempio) e seguirlo continuamente in base ai vari spostamenti, così da permettervi una foto sempre a fuoco, sia che il vostro soggetto sia al centro, sia che esso si trovi in uno dei lati. Le fotocamere mirrorless moderne permettono inoltre un tracking continuativo anche quando il soggetto esce e rientra dal frame, questo significa che se il soggetto non è più visibile all’interno della vostra inquadratura, la fotocamera lo capirà e ricomincerà a metterlo a fuoco continuamente nel momento in cui sarà di nuovo visibile.
Con questa modalità, in alcune fotocamere professionali, è possibile preparare il software ad un possibile arrivo improvviso del soggetto all’interno del frame, in modo tale da far capire al nostro dispositivo che dev’essere pronto all’azione con un tracking immediato ed estremamente veloce. Tale funzione viene usata anch’essa nella fotografia sportiva, soprattutto in sport come il Motocross dove, ad esempio, se vi trovate a bordo pista sotto ad una cunetta che prevede un salto, saprete anche che in pochi secondi arriverà una veloce moto in acrobazia, e voi dovrete essere pronti ad ottenere uno scatto perfetto, niente scuse.
Nella maggior parte delle fotocamere odierne, tale modalità di autofocus è conosciuta come “AF-C”, tuttavia, Canon ha preferito (da sempre) usare il termine “AI SERVO”.
Autofocus: modalità automatica
L’ultima modalità di messa a fuoco tra quelle principali è proprio quella automatica che, come dice il nome stesso, farà scegliere alla fotocamera l’impostazione migliore a scelta tra quelle disponibili, sia che si tratti di punto singolo oppure continuo.
Inutile dirvi (o ricordarvi) che un automatismo è certamente comodo, ma in fotografia, se davvero volete imparare a fare qualcosa e creare scatti unici, dovrete cercare di evitare modalità che lasciano scegliere tutto alla fotocamera, perché in tal caso voi state soltanto premendo un tasto. Nelle fotocamere Nikon, questa modalità si chiama “AF-A”, nelle Canon “AI FOCUS” e in tutte le altre viene sempre indicata come “AUTO” “Automatica” o semplicemente “A”.
Autofocus: conclusioni
L’autofocus costituisce un elemento determinante nella scelta di una fotocamera, soprattutto se avete esigenze specifiche come, ad esempio, la fotografia sportiva o comunque dinamica. Contando che ogni fotocamera ha una modalità a punto singolo, certamente se fate ritratti, still life o generi statici, è un fattore non determinante nella vostra scelta. Se però il vostro genere è tendenzialmente dinamico, allora vi sarà utile comprendere al meglio come funziona la modalità continuativa del modello che vorreste acquistare, quanti punti ha, cosa offre come funzioni secondarie e così via. Spero che questa guida vi abbia chiarito tutti i vari dubbi circa l’autofocus e il suo funzionamento, tuttavia, qualora doveste avere ancora dei dubbi, non esitate a chiedere maggiori informazioni nei commenti qui sotto.