Anche di fronte ai prodotti per un pubblico più giovane, la produzione di Netflix non si è mai tirata indietro. A poche settimane da Natale presenta sulla sua piattaforma “Back to the Outback – Ritorno alla Natura”, un film che nonostante non sia a tema festività è dedicato a tutte le famiglie. Abbiamo potuto vedere in anteprima il film e Back to the Outback recensione è l’articolo che dovete leggere per sapere se può essere di vostro gusto. Come sempre non ci sono spoiler, quindi buona lettura!
Anche io, di fronte a prodotti di questo tipo, non mi tiro mai indietro. Mi piace l’animazione e capita di rimanere più soddisfatti con un film del genere anziché con qualcosa “per adulti”. Sarò sincera, però: non conoscevo questo film, che a mio parere sta passando abbastanza in sordina. “Back to the Outback – Ritorno alla natura” sembrerebbe essere uno di quei prodotti non solo dedicato ai giovani, ma proprio ai bambini tra i 6 e i 10 anni. Abbiamo l’abitudine di non soffermarci troppo su questa tipologia di film ritenendola di poco conto, ma è proprio da questa che si comincia a dare forma ai gusti personali e soprattutto al proprio carattere. Abbiamo quindi il dovere di assicurarci della qualità di ciò che i più piccoli andranno a vedere e ho apprezzato molto la manovra di Netflix di dedicare una parte del suo catalogo (con addirittura un account a parte) alla sezione bambini. I miei nipoti ringraziano, i miei cognati pure. Questo è un film che definirei educativo oltre che d’intrattenimento, per il messaggio di fondo che vuole trasmettere.
Back to the Outback recensione: la trama del film
Il Parco Naturale Australiano è lieto di accogliere i propri visitatori, che hanno la possibilità di osservare da vicino e in totale sicurezza gli animali delle più disparate razze. Tra una carezza a un tenero cucciolo e l’altra, fa la sua entrata in scena Pretty Boy, il piccolo koala simbolo del parco. Ma esistono anche quegli animali che risultano, per fama, spaventosi al nostro occhio, come i serpenti, i ragni e gli scorpioni. Loro, che vorrebbero solo sentirsi apprezzati con uno sguardo accondiscendente da parte degli uomini, vivono nell’isolamento delle loro teche, spesso evitati perché considerati pericolosi. Così, il serpente Taipan Maddie, il ragno Frank, lo scorpione Nigel e il diavolo spinoso Zoe fuggono alla volta di un ambiente che possano chiamare casa, accompagnati da Pretty Boy e inseguiti dal guardiano del parco Chaz Hunt.
Data la trama sembrerebbe che ciò che viene proposto da Netflix con “Back to the Outback” non sia nulla di così innovativo: mi vengono in mente film come la saga di Madagascar o “La gang del bosco”, entrambe storie di casa Dreamworks Animation. L’elemento più interessante è secondo me il concentrarsi su specie di animali che in qualche modo sono emarginate, evitate perché considerate brutte d’aspetto e imprevedibili come comportamento. In qualche modo il film funge da trampolino per far riflettere la loro luce da un punto di vista differente rispetto ai soliti prodotti. Un po’ come è stato per i due film Disney “Ralph Spaccatutto” e “Ralph Spacca Internet” in cui il protagonista riveste il ruolo del cattivo e decide di cambiare il suo destino per essere finalmente l’eroe della sua storia.
Back to the Outback recensione: un divertente viaggio istruttivo
“Back to the Outback” insegna a non fermarsi di fronte alle apparenze e a non credere agli stereotipi. Tutti i protagonisti, infatti, ribaltano completamente l’opinione che abbiamo di loro, presentandoci così un serpente dolce, uno scorpione pauroso, un koala capriccioso e un ragno con la forte ambizione di diventare ballerino. Un bizzarro assortimento di personaggi che però trovano negli altri il coraggio di cambiare e migliorarsi. La visione degli umani è distorta e dettata dal sentirsi superiore: questo ha come conseguenza un fraintendimento dopo l’altro, che ostacola il benessere dei protagonisti in favore del bisogno egoistico dei cittadini di Sydney di sentirsi al sicuro.
Perfino Pretty Boy stesso, abituato a essere amato da grandi e piccoli, si trova a dover sbattere contro la dura realtà, al di fuori della sua gabbia dorata, per constatare che gli altri non lo vedono come appare sotto ai riflettori, fino al punto di non essere riconosciuto. L’ipocrisia degli altri lo ha sempre guastato e quello che serve a lui e tutti gli altri è riscoprire il mondo per come è davvero, con i pregi e nonostante i difetti. “Orrendo è bello”, come dice a un certo punto il koala, un concetto che troppo facilmente si dimentica.
L’Outback è dove tutti possono sentirsi ed essere davvero sé stessi, senza trattenersi o temere il giudizio degli altri. In questo viaggio, Maddie e gli altri incontrano una serie di animali che hanno già trovato il loro posto nel mondo convivendo con la presenza dell’uomo, riuscendo comunque a non perdere la propria identità solo perché chi si ritiene superiore si arroga il diritto di scattare foto, stuzzicare e, di fatto, avere su di loro controllo e potere. Basta essere additati come mostri, basta vedere negli occhi degli altri il terrore, basta assistere allo scherno nelle intenzioni di chi si avvicina. Giungere alla meta non è semplice e il viaggio diventa il mezzo attraverso cui crescere e formarsi, perché anche quando si hanno le idee chiare su chi si vuole essere non si smette mai di imparare. L’unione fa la forza e l’amicizia è il collante del gruppo, che userà le proprie abilità per la prima volta per il bene personale anziché per fare spettacolo.
I colori sgargianti utilizzati e la cura tecnica nella realizzazione dei personaggi hanno il pregio di far risaltare i più piccoli particolari, come i peli di Frank o le squame di Maddie. I paesaggi selvaggi dell’Australia lasciano senza fiato nonostante siano stati disegnati, portando a far sognare lo spettatore insieme ai personaggi. Le musiche, strumentali o appartenenti a canzoni note, accompagnano con piacere la storia nel suo sviluppo, in parte originale e in parte prevedibile. Sono presenti dei “momenti musical” ma sono molto limitati e brevi, il filo del discorso si mantiene saldo. La cosa più importante probabilmente è quella di vedere “Back to the Outback” attraverso gli occhi di un bambino per risultare carino e interessante piuttosto che piatto e già visto in passato.
Back to the Outback recensione: dettagli, cast e conclusioni
Come già detto in questo articolo, “Back to the Outback – Ritorno alla natura” è un film prodotto da Netflix della durata di 90 minuti circa. Il film è diretto da Clare Knight e Harry Cripps, che insieme a Greg Lessans si è occupato anche della sceneggiatura. Le musiche, invece, sono composte da Rupert Gregson-Williams. Si tratta di una co-produzione tra Stati Uniti e Australia, nello specifico: Netflix Animation, Reel FX Animation Studios e Weed Road Pictures. Il cast originale che dà le voci ai personaggi è composto da attori famosi e con l’esperienza di doppiaggio già alle spalle. Troviamo, infatti: Isla Fisher nel ruolo di Maddie, Tim Minchin come Pretty Boy, Eric Bana nei panni di Chaz, Guy Pearce interpreta Frank, Miranda Tapsell è la voce di Zoe e Angus Imrie doppia Nigel.
“Back to the Outback” è un film che scorre velocemente e che riuscirà a coinvolgere il pubblico dei bambini. Non è un film che fa presa anche sugli adulti, nonostante le tematiche trattate siano attuali e coinvolgano indipendentemente dall’età. Insegna l’importanza del diverso e di come questo non debba fare paura né essere emarginato, ma piuttosto visto come esempio di unicità.
Voi guarderete “Back to The Outback – Ritorno alla natura”? Vi ispira la trama? Fatecelo sapere nei commenti!
Recensione in breve
Back to the Outback - Ritorno alla Natura
Un film d'animazione che combatte gli stereotipi ribaltando il ruolo di buono e cattivo. Il prodotto non spicca, ma sicuramente risulta d'intrattenimento e non si dimentica d'impartire la doverosa lezione di sorta ai più piccoli di casa.
PRO
- Animazione di qualità.
- Doppiaggio impeccabile.
- Messaggi di fondo interessanti.
CONTRO
- C'è ben poco di originale, nel complesso il film è passabile ma difficilmente verrà ricordato.