Una casa infestata da un passato maledetto, gli sforzi di adattarsi ad una nuova vita, Adrien Brody protagonista. Questo può bastare per convincere gli amanti delle serie tv – e dell’horror – a guardare Chapelwaite, la nuova opera tratta da una storia di Stephen King e prodotta da Epix. Il titolo sarà disponibile in esclusiva su TimVision dal prossimo 26 ottobre con le prime cinque puntate, mentre le restanti da martedì 2 novembre. Abbiamo visto i due episodi iniziali di Chapelwaite in anteprima, ed ecco ciò che ne pensiamo in questa recensione senza spoiler.
Chapelwaite recensione: introduzione
Prima di entrare nel merito di Chapelwaite, credo siano necessarie due fondamentali quanto soggettive premesse. La prima è chi la scrive: un fifone. Ho sentito la necessità di precisare questo dettaglio, perché quando si parla o discute di opere legate al genere dell’orrore, è facile dimenticarsi che la paura sperimentata nella visione di raccapriccianti, disturbanti o sanguinolente immagini è differente da persona a persona. A qualcuno questa frase potrà sembrare una furbata; eppure, se chi ama avere scariche di adrenalina pura potrebbe sorridere davanti agli stessi fremiti di chi si scioglie davanti ad un bacio appassionato, non è vero per forza l’opposto. In ogni caso, per responsabilità editoriale o per amore del cinema (sic!), e scaricata un po’ della mia particolare tensione alla visione dei primi due episodi di Chapelwaite, ne è scaturita una breve recensione di ciò che ho potuto assistere in anteprima.
La serie prodotta da Epix e disponibile in esclusiva su TimVision dal prossimo 26 ottobre, è composta infatti da dieci puntate, ed è basata sul racconto breve Jerusalem’s Lot di Stephen King. L’altra premessa riguarda proprio la disponibilità concessaci di poter assistere alla visione della serie; le due ore iniziali non potranno rendere onore alla completezza di un commento approfondito dell’intera stagione. L’analisi di Chapelwaite e la sua recensione, dunque, è relativa a quanto è stato possibile vedere, lasciando spazio anche ai possibili sviluppi.
Chapelwaite recensione: di cosa parla la serie
L’opera è l’adattamento seriale di uno dei primi racconti scritti da un giovane “Re del Brivido”, appunto Jerusalem’s Lot, contenuto nell’antologia A volte ritornano (Night Shift in inglese) pubblicata nel 1978. Ambientata nel 1850, la storia segue le vicende di Charles Boone (interpretato dal premio Oscar Adrien Brody), capitano di una baleniera nel Mar del Giappone e padre di tre figli, avuti con la moglie di origini nipponiche. Alla morte della sua amata, egli è costretto a tornare sulla terraferma insieme alla sua famiglia. Il caso ha voluto che ricevesse in eredità Chapelwaite, la magione dei Boone, nella piccola cittadina di Preacher’s Corner, nel Maine. Il protagonista dovrà cominciare una nuova vita, ma soprattutto affrontare una maledizione che grava da secoli sulla sua dinastia…
I tormenti di un passato inquietante pronto ad emergere dall’oscurità, la diffidenza e l’emarginazione come incubi alla luce del sole. Sostanzialmente sono l’eredità e l’integrazione i temi portanti di questa trasposizione seriale di Chapelwaite, definita dallo stesso King «uno dei migliori adattamenti di una sua opera». Per larghi tratti di queste puntate iniziali, gli showrunner Jason e Peter Filardi si sono focalizzati sull’inserimento dei nuovi arrivati nella routine di Preacher’s Corner e delle loro difficoltà di ambientamento in una realtà chiusa e poco incline all’accettazione del diverso. Siano essere persone straniere, come avvenuto per i giovani figli del protagonista; ma anche per chi vuole provare ad uscire dagli schermi, come l’aspirante scrittrice/investigatrice del mistero Rebecca Morgan (interpretata da Emily Hampshire), donna di cultura decisa ad uscire dagli stereotipi ottocenteschi, o il trattamento riservato agli ammalati della cittadina. Temi di un horror contemporaneo alla Jordan Peele, con i suoi nuovi fantasmi e le sue paure più profonde.
Senz’altro si è trattata di una scelta narrativa in linea con la profondità descrittiva richiesta dai prodotti finzionali di oggi; in quest’ultimo caso, la costruzione del mondo nel quale prenderanno vita le vicende. Si tratta di un deciso cambio di prospettiva rispetto al racconto originale. Nel testo di King è la casa infestata dei Boone, più che il villaggio, il punto di partenza dell’intrigo legato ai Boone e al loro malefico passato famigliare. Fare un confronto tra una serie di dieci ore circa con appena 56 pagine di racconto è fuorviante (se volete saperne cosa ne pensiamo sugli adattamenti dal libro allo schermo, vi invitiamo a leggere qui il nostro editoriale in merito). In ogni caso, la ricchezza delle tematiche affrontate è una decisione autoriale da evidenziare.
Chapelwaite recensione: narratori differenti
Volendo quindi prendere in esame l’opera sullo schermo, dopo due puntate si può abbozzare una prima analisi della sceneggiatura e gli aspetti tecnici. Jerusalem’s Lot è un racconto epistolare, dove la narrazione degli «sviluppi di inquietante natura» è affidata ad una serie di lettere e diari, principalmente quelli di Charles e, occasionalmente, del suo servitore, Calvin McCann. Chapelwaite, invece, è il tentativo di cominciare una nuova vita “in presa diretta” da parte dei suoi personaggi, avvicinandosi ai loro punti di vista. Senza ovviamente rivelare nulla del finale della storia scritta, le lettere del protagonista instaurano il “patto” di veridicità delle vicende già avvenute; almeno fino all’ultima pagina. Starà al lettore credere o meno a ciò che Charles potrebbe aver visto. Un espediente già visto con La coscienza di Zeno di Italo Svevo, e ripreso a volte da autori di romanzi thriller o, come in questo caso, da King per creare quell’inaspettato quanto raggelante colpo di scena conclusivo.
La puntata pilota Sangue chiama sangue, invece, dopo un breve flashback, cerca frettolosamente di dare l’innesco alle vicende della famiglia e del loro arrivo a Preacher’s Corner. Nei primi minuti, l’impressione è quella di sapere già cosa si andrà ad offrire allo spettatore. C’è il problema di una casa infestata, di una nomea troppo ingombrante per restare indifferenti; un oscurità del cuore legata in qualche modo al presente dei personaggi. Tradotto: Chapelwaite si trova già a “scontrarsi” con un opera simile come The Haunting of Hill House di Mike Flanagan, tratta dal libro di Shirley Jackson, una delle autrici preferite di King. La scelta di far coincidere il tempo della narrazione con il tempo della visione, insomma, è senz’altro efficace per estendere il mondo frequentato da Charles e Rebecca e per creare qualche scena di tensione ben calibrata e ben fatta; tuttavia potrebbe alla lunga creare qualche “luogo comune” in determinati momenti chiave della storia o in una qualche forma di dejavu capace di smorzare l’impatto della serie.
Chapelwaite recensione: un po’ più di rumore
La costruzione della tensione, in un film dell’orrore, non può precludere dall’utilizzo di sonorità e accompagnamenti musicali in grado di creare l’atmosfera giusta del brivido. Durante tutto il suo breve racconto, King ricorre spesso alla descrizione di un «suono sordo ed errante», di «un orribile gorgoglio» e di un «grattare come se qualcosa stesse tentando di venir fuori». Ecco: accettando – e anche apprezzando – alcune scelte narrative per diversità del medium e della fruizione dell’opera, gli autori hanno per ora dato una scarsa attenzione ai rumori della casa.
Nelle pagine di King, il suono indefinito è l’elemento significativo per immergere il lettore dentro la realtà di una «casa infelice» e misteriosa. Ecco, in questo primo paio d’ore gli autori hanno preferito indagare “visivamente” il contesto di Preacher’s Corner e dei suoi abitanti, come nella seconda puntata Memento Morii, piuttosto che concentrarsi fin da subito sul primo degli inquietanti segnali della storia. Un esplorazione affidata agli occhi anche per quanto riguarda i luoghi comuni dell’abitazione. In senso letterale: la cantina esplorata dal protagonista – uno dei punti più alti del mistero della residenza – viene già “sdoganata”, quando spesso e volentieri è la tana di mostri e scheletri rinchiusi nelle profondità dell’animo umano.
Chapelwaite recensione: conclusioni
Le prime puntate di Chapelwaite, in conclusione, rendono esplicita l’intenzione degli autori di dare un respiro più ampio a Jerusalem’s Lot; una storia che si riverbera, per gli amanti dell’autore, nel suo primo romanzo Le notti di Salem. Per ora, le cosiddette “licenze” dall’opera originaria hanno un senso e una loro fondatezza contemporanee alle paure del mondo di oggi. Una società di pregiudizi e diffidenze, temi universali come la tradizione contro la novità trovano nuove e inquietanti sfumature tra generazioni, oscurità ancestrali rinnovano il loro bisogno di essere esplorate alla luce delle candele. Il rischio allora, se c’è, è quello di cercare di unire tra loro la sostanza di questi grandi timori esistenziali di gruppi o di persone, dimenticandosi a volte di regalare la forma, ovvero il brivido. Soltanto le prossime puntate di Chapelwaite potranno dare la conferma di trovarsi davanti ad un serie che, al momento, ha un grande potenziale. Non resta che vederle tutte fino alla fine. Purtroppo – o per fortuna -, me compreso.