Coronavirus reportage è un editoriale riflessivo che non vuole creare scontri o problematiche ma semplicemente raccontare un importante periodo storico fatto di complessità e paure. Partiamo dall’inizio: Coronavirus è il nome di una grande famiglia di virus in grado di causare malattie che vanno dal comune raffreddore a più gravi problematiche respiratorie acute come, ad esempio, la sindrome respiratoria mediorientale (MERS-CoV) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV). In questi giorni sono tanti i pensieri, le parole, le sensazioni e le emozioni che vorrei comunicare, ed è per questo che, come di consueto, ho sentito il bisogno di scrivere qualcosa. Non sono un medico, uno scienziato o un chimico e non lo sono mai stato, quindi non sono in grado di esprimere concetti legati a questa problematica in corso per quanto concerne il punto di vista scientifico / medico nel dettaglio. Ciò che posso fare però, è raccontare quello che vedo e che vivo ogni giorno, pur non essendo un infermiere o un medico in servizio. Vediamo quindi il Coronavirus reportage.
Coronavirus reportage: un cambiamento made in italy
All’inizio veniva tutto sottovalutato, “è solo un’influenza” pensavo, “è lontana da qui, è in Cina!”, ripetevo tra me e me. È chiaro che non sono stato l’unico a sottovalutare questa minaccia: io, come tutti gli altri, non ho mai vissuto un’esperienza del genere, non ero preparato. Nessuno lo era.
All’inizio, quegli esili consigli che ci davano venivano scambiati come banali. Anche quando il virus è arrivato in Italia (e l’articolo coronavirus reportage era ben lontano), più precisamente a Codogno, nella nazione in generale non c’era comunque abbastanza preoccupazione nell’aria, non c’era convinzione, non c’era paura. Molti, me compreso, hanno continuato a sottovalutare la situazione, nonostante il virus fosse passato dalla Cina (lontanissima) a Codogno, cioè ad una manciata di km da casa mia. Si usciva, si rideva e si scherzava, si creava assembramento, tutto procedeva normalmente.
All’inizio, quando il virus si stava diffondendo sempre di più, io avevo appena inaugurato la mostra “Oltre” con Pixel FotoClub, associazione di cui sono Presidente. Eravamo tutti felici e gioiosi, desiderosi di mostrare al grande pubblico il nostro lavoro frutto di mesi di impegno. Una mostra fotografica dentro al grande evento Filosofarti 2020, ma ci pensate? Chi poteva credere che alcuni ragazzi che hanno fondato un’ associazione quasi per scherzo potessero arrivare tanto lontano?
Era tutto fantastico, esattamente come in quei film americani in cui tutto va bene ma lo spettatore sa già che qualcosa di negativo arriverà a brevissimo. Potrei anche fare il paragone con Dragon Ball, celebre anime di Akira Toriyama, in cui tutti sanno benissimo che la storia è al 95% difesa del mondo da minacce incredibilmente pericolose e 5% tranquillità e vita normale. Quando ero piccolo sapevo che i periodi di calma non potevano esistere in quel cartone. La situazione reale era la stessa.
23 febbraio, primo giorno di inaugurazione della mostra: dopo il vernissage siamo andati tutti a pranzo tranquillamente, in un ristorante giapponese. Si parlava del virus, si leggevano i primi coronavirus reportage, si discuteva, senza troppa attenzione o preoccupazione. Poi ci è arrivata la comunicazione: la mostra sarebbe stata sospesa già a partire dal pomeriggio e fino al primo marzo compreso, pertanto, per tutta la prima settimana. Sarebbero stati vietati, di li a poco, tutti gli eventi che potessero in qualche modo creare assembramento, e sono certo che ultimamente questa parola si senta talmente tante volte che qualcuno l’ha anche imparata.
Rimasi un po’ deluso e sbigottito, continuando a sottovalutare il problema, continuando ad ignorare il futuro. Tornai a casa frustrato e dispiaciuto, ignorando il fatto che, nel frattempo, in pochi giorni tutto sarebbe cambiato drasticamente.
In pochissimo tempo il numero dei casi è aumentato a dismisura, la minaccia è diventata più concreta, si è avvicinata sempre di più a casa.
“Casa” per noi tutti è quel luogo sicuro, quello in cui non arrivano i mostri perché basta accendere la luce, quello in cui non possono succedere cose brutte, quello in cui anche se le cose vanno male sappiamo che poi passerà tutto. Casa è quel luogo in cui guardi il telegiornale, apprendi le disgrazie e ne rimani dispiaciuto, ma, un po’ in maniera egoistica, sei anche tranquillo perchè “tanto sono lontani”.
Cosa succede però quando le minacce e i problemi di importanza mondiale e con una gravità da non sottovalutare (come erroneamente fatto) si avvicinano sempre di più al tuo luogo sicuro?
Cosa succede quando un problema come il Coronavirus arriva nei paesini vicino a te? Quelli che pensavi fossero dimenticati da Dio, quelli dove non succede mai nulla.
In quel momento arriva la consapevolezza, arriva la paura, la preoccupazione e, in alcune persone, anche gli attacchi di panico (nel mio caso anche il bisogno di scrivere un Coronavirus reportage).
Ciò che spesso sento dire da chi sta male, da chi ha una malattia o da chi, peggio ancora, subisce un lutto in famiglia, è sempre una frase tipo “è successo tutto così in fretta”. Questa frase vale per tutto, anche per la nostra situazione italiana riguardo il Coronavirus reportage.
È successo tutto così in fretta: siamo passati da risate in compagnia davanti ad uno Spritz alla quarantena, dalla libertà all’obbligo di non uscire da casa, dalle lezioni di Yoga tutti insieme all’e-learning, dai bigliettini a scuola alle lezioni tramite internet da casa, dalla scelta soggettiva della morbidosità o durezza della frutta alle consegne a casa imposte e prese d’assalto. Siamo passati dall’amore per il calore umano alla freddezza delle macchine, dai complotti per la terra piatta ai complotti per “ci vogliono uccidere tutti”.
Coronavirus reportage: tutto sarà diverso
Mi ripeto sempre che a volte sono troppo pessimista e negativo, quando in realtà anni fa ero la persona più positiva del mondo. Ci sono tante cose che ci cambiano: esperienze, delusioni, problemi, gioie, soddisfazioni…da ogni cosa che ci capita impariamo qualcosa, motivo per cui, sicuramente, chi vive una vita di sole gioie difficilmente potrà essere pessimista, chi non ha mai avuto problemi con nessuno difficilmente sarà diffidente, e così via. Nonostante questo però, non posso esimermi dal pensare che, comunque vada, questo Coronavirus ha già fatto più danni del dovuto senza neanche aver finito (e spero di poter evitare di scrivere “senza neanche aver iniziato”).
Sì, perché noi torneremo a vederci dal vivo, torneremo a fare gli aperitivi insieme, torneremo a giocare a calcio insieme, uscire, andare ai concerti…ma sarà tutto così diverso che faremo fatica ad abituarci. Per carità, questo è esclusivamente un mio pensiero che non voglio imporre a nessuno, ma mi rendo conto di come ci si sente, mi rendo conto di cosa significhi essere costretti a stare a casa (magari da soli), mi rendo conto a quante domande inizi a farsi il cervello, quante paure vengano sviluppate, quante ansie, quanti dolori si provino. In tutto questo, la mente potrebbe impazzire.
Comunque vada, sarà tutto diverso. Che sia per psicosi, per paura, per ansia, la situazione attuale ci sta convincendo tutti a usare il gel antibatterico, lavare le mani continuamente, mettere la mascherina, tossire nel gomito e così via.
Ciò che personalmente mi stupisce riguarda il fatto che girino grafiche e infografiche direttamente dal governo che spiegano come lavarsi le mani correttamente, ciò significa che esistono realmente persone, nel 2020, che non sono in grado di lavarsi le mani. Per carità, non giudico, ma l’igiene e la cura di questi principi fanno parte della mia vita da quando sono nato. Per me non è cambiato nulla: ho sempre lavato le mani, ho sempre tossito nell’incavo del gomito, ho sempre evitato di starnutire in faccia alle persone, ho sempre mantenuto un po’ le distanze in luoghi affollati, ho sempre pensato a quanto stimassi i giapponesi per il fatto di indossare la mascherina in caso di influenza e così via, con la differenza che però io, per questo comportamento, spesso mi sono preso dell’esagerato o dell’ipocondriaco. Curioso, perché nel frattempo ora tutti sono diventati medici o esperti di igiene. Era necessaria un’emergenza sanitaria mondiale così grave per far capire alle persone l’importanza di tutto questo? Mi auguro di no, lo spero vivamente, ma adesso è troppo tardi per fare la predica da saccente, non dirò a nessuno “te l’avevo detto”, non è una vendetta né tantomeno una sfida. È un momento di grave crisi, peggio di qualsiasi altra mai vissuta, e dobbiamo pensare ad aiutarci, non a farci la guerra. Ecco un altro motivo per cui ho deciso di fare un Coronavirus reportage.
Coronavirus reportage: la distruzione della vita a cui eravamo abituati
A questo punto, dopo più di due settimane di quarantena totale (che mi ha permesso di scrivere questo Coronavirus reportage) in cui non è possibile uscire di casa se non per motivi gravi e con tanto di autocertificazione che dev’essere verificata dalla Polizia, è giusto fare un bilancio e pensare un po’ al futuro. Sono giorni che penso tra me e me al futuro e a tante cose. Ho una gran voglia di abbracciare i miei amici, rivederli e passare serate con loro, ma sono certo che tante cose saranno diverse e non basterà un mese per risolvere tutto.
Questi pensieri mi sono venuti dopo che sono uscito a fare la spesa, un paio di giorni fa: entrato in un piccolo supermercato, mi sono accorto che le persone si allontanavano da me, tenevano più di un metro di distanza, cambiavano corsia se ero nella loro, andavano addirittura addosso al muro se dovevano passare nella mia corsia. La cosa più grave di tutte è che, inconsciamente, anch’io avevo questo tipo di comportamento nei loro confronti, quasi come se fossimo tutti degli alieni o dei giocatori di Fortnite che devono sopravvivere e sono pronti ad uccidere per farlo. Ho visto scene raccapriccianti di persone che si sono quasi picchiate per accaparrarsi l’ultima mascherina o l’ultimo gel per le mani, persone che andavano via dal supermercato con la macchina così piena da dover quasi lasciar giù un umano in carne ed ossa, ho visto commercianti far pagare 240 euro per un paio di mascherine e tre barattoli di gel per le mani, ho visto la borsa crollare, l’economia collassare, il panico negli occhi delle persone, la paura.
Penso di aver visto già abbastanza cose in questo 2020, e troppe non mi piacciono. Era già partito tutto un po’ in dubbio con quella specie di dichiarazione di guerra da parte di Trump ai terroristi, per poi continuare nel modo peggiore.
Non posso andare a pranzo dai miei genitori, vedere i miei amici, fare passeggiate in centro, mangiare gelati o uscire a bere qualcosa. In un’altra situazione vi avrei detto “pazienza, ho la PlayStation”, perché in realtà poi, quando tutto era normale prima del Coronavirus reportage, non ero poi chissà quale persona così socievole da uscire ogni sera, ero sempre stanco per il lavoro e tendevo a preferire il divano. Certo però che quando qualcosa ti viene imposto tutto cambia, e non per voglia di disobbedire, quanto più perché non hai alternative, non puoi decidere, puoi solo stare a casa.
Stare a casa è bello, fino ad un certo punto però. Bello stare a casa con la propria fidanzata o il proprio fidanzato, condividere le giornate, imbiancare, rimettere a posto le stanze…ma se invece non potessi fare nulla di tutto questo? Se l’unica tua possibilità fosse quella di stare a casa da solo e basta? O ancora peggio, se la tua unica possibilità fosse quella di stare da solo in una stanza di terapia intensiva in seguito a complicazioni?
Io sotto questo punto di vista mi ritengo molto fortunato, perchè vivo con la mia ragazza e posso vedere i miei genitori facilmente da una finestra (praticamente), ma ci sono persone che vivono lontane da tutto e tutti, che tornavano in zona solo per il weekend, che passano le giornate chiuse in casa da sole, magari in un luogo desolato, senza potersi allontanare in nessun modo.
Ci possono togliere ogni cosa, però sono certo che nessuno riuscirà mai a toglierci una nostra grande dote: la capacità di adattarci, abituarci, ambientarci. Sono tre parole splendide e vantaggiose quanto terribili e spaventose.
Sono due, per la precisione, le paure che sto vivendo in prima persona durante questo periodo del Coronavirus reportage:
- la paura di essere infetto senza saperlo (quindi asintomatico) e aver trasmesso qualcosa a qualcuno (contando il periodo di incubazione);
- la paura e la quasi convinzione che tutto questo non durerà così poco e, soprattuto, quando finirà saremo tutti profondamente cambiati.
Sono certo che le mie paure siano condivisibili e comprensibili, perchè per la prima volta nella storia stiamo tutti vivendo la medesima situazione. Tutti passiamo le giornate incollati alla televisione e ai social network per capire cosa succede, quanti siano i casi infetti, se ci sono morti, se la mappa dei contagiati è cambiata, se il governo ha fatto qualche annuncio e così via. In effetti prima al sabato sera uscivamo in compagnia, verso le 23, per poi ritrovarci nella solita piazzetta a ridere e scherzare. Adesso la più grande soddisfazione è attendere la prossima diretta di Giuseppe Conte che arriva temporaneamente su YouTube, Facebook e sul digitale terrestre il sabato sera alle 23:15 (proprio in seconda serata).
Recentemente mi è successa una cosa che, da sola, è sufficiente per far capire esattamente cosa si prova in questi momenti: siamo in quarantena da un paio di settimane e mi è capitato, l’altra sera, di parlare in videochiamata con tre miei amici, raccontandoci come va la vita e parlando del più e del meno come se fossimo al bar. Uno di loro mi ha addirittura detto che sta pensando di organizzare una cena in videochiamata con vari amici, esattamente come io sto organizzando le serate con l’associazione fotografica su Google Hangouts, tutti in videochiamata.
Cosa avreste pensato o detto se un mese fa vi avessero proposto una cosa del genere? Avreste dato del pazzo a qualcuno, lo avreste deriso, esattamente come avreste fatto se aveste visto un tizio in giro con la mascherina.
Invece adesso, tutti quelli che prima dicevano “la tecnologia è il male, rende stupidi” ora sono in videochiamata e/o in e-learning su varie piattaforme online oppure stanno scoprendo lo smart working, cosa che “pratico” ormai da 10 anni.
Tutto cambia però: il nostro modo di pensare, le nostre abitudini, la nostra maturità, la nostra consapevolezza.
Ora che abbiamo appreso come tutto possa cambiare in così poco tempo, ora che abbiamo appreso nuovi pericoli e nuovi limiti, ora che abbiamo capito cosa significhi vivere in quarantena senza poter uscire, ora che abbiamo capito cosa significhi annullare i rapporti sociali di ogni tipo, forse capiremo un giorno che dobbiamo cambiare, dobbiamo adattarci ad una nuova vita, ad un futuro diverso. O forse no.
E mentre farmacie e aziende sanitarie fanno fortune, altre aziende falliscono e la borsa crolla. Questo è sempre il rovescio della medaglia di una crisi o di una guerra, con la differenza che in questa guerra non ci sono armi o soldati, ci sono solo supereroi che lottano ogni giorno per salvare vite rischiando la propria, persone che non vengono mai ringraziate abbastanza per quello che fanno. C’è chi combatte in prima linea in ospedale e chi studia giorno e notte per trovare un vaccino.
Tante volte mi hanno detto che è necessario affondare per imparare a risalire, ma quanto può essere caro questo prezzo per l’Italia oggi? Quanto può essere grave? Quante vite dovremo perdere ancora per capire come rialzarci?
Mi piacerebbe molto, per questo motivo, se gli italiani decidessero di restare nella nostra nazione per le vacanze di quest’anno, certo, sempre se ci sarà concesso farle e se l’emergenza sarà realmente rientrata.
Coronavirus reportage: il panico che dilaga
Il dramma più grande di questo Coronavirus reportage è proprio il fatto che venga costantemente sottovalutato. È una reazione a catena continua che non fa bene a nessuno.
Dopo un mese dall’arrivo del virus in Italia e dall’arrivo della gravità di questa situazione odierna, recentemente mi ha scritto mio cugino, lui è del New Jersey, è nato lì, cittadino americano e parla solo inglese. Mi ha mandato una foto dei supermercati in America mostrandomi gli scaffali vuoti, una cosa che mi ha rimandato indietro nel tempo a quando questa cosa succedeva qui in Italia, come se fossero passati anni, ma si parla solo di “giornI”. Mio cugino mi ha fatto delle domande facendomi capire che comunque è inutile correre al supermercato (vero) e che tanto questa influenza è grave solo per gli anziani (falso). Di fatto però, questo effetto a catena è proprio il modo in cui il virus si sta espandendo e si è espanso finora: prima uno stato, poi l’altro, poi l’altro ancora e così via. Sembra un copione già scritto, il momento in cui arriva in un paese e gli abitanti sottovalutano il problema, poi svuotano i supermercati, poi si ribellano e non si chiudono in casa, poi si ammalano e solo alla fine arriva la consapevolezza. Ovviamente ho parlato a mio cugino della gravità della situazione, invitandolo a stare a casa e a non sottovalutare il problema, raccontandogli come noi stiamo vivendo in Italia ora, con il livello di paura che c’è per questa situazione che un giorno, certamente, entrerà nei libri di storia. Libri che troveremo in biblioteca e che disinfetteremo con cura prima di leggerli. In America corrono a comprare le armi e a svuotare i supermercati, in Italia corriamo a svuotare i supermercati e torniamo (non tutti, per fortuna) a casa dai parenti più stretti al Sud, cosa che in verità non fa altro che peggiorare la situazione.
In un periodo in cui il panico dilaga, sono tanti gli effetti negativi sulla psiche e, per carità, non prendetemi nemmeno per uno psicologo, sono un semplice fotografo in grado di osservare, capire e crearsi una propria opinione (giusta o sbagliata che sia) in merito alla situazione. La psiche della gente sta cambiando per tanti motivi, un po’ lì ho descritti nei paragrafi precedenti, altri li ho vissuti ancora più in prima persona.
Recentemente infatti, ho pubblicato sui miei social alcuni degli scatti che vedete anche in questo articolo, riguardanti il Coronavirus reportage, che ho deciso di mostrare in bianco e nero per enfatizzare contrasti, forme e raccontare una situazione che è drammatica. Per carità, sono felice che ci siano persone che si siano mobilitate per creare gli hashtag #andratuttobene e #iorestoacasa, ma cerchiamo di affrontare la situazione da un altro punto di vista: la quarantena sta lesionando la psiche di molte persone. Ognuno di noi reagisce in modo diverso: dal canto mio, ho cercato di raccontare la situazione non solo per un interesse personale ma anche per motivi lavorativi.
Sono infatti un fotografo a partita IVA, con tesserino e che viene spesso incaricato di lavori vari di reportage da aziende e/o riviste per svariati motivi. Proprio in virtù di questa necessita, autorizzato dalle forze dell’ordine, mi sono addentrato nella mia città e in quella limitrofa, Gallarate (VA), per raccontare la storia che stiamo vivendo vista da dentro, libera da preconcetti e forse libera anche un po’ da quel positivismo (giusto) che dilaga in tutta la nazione (per fortuna). Il risultato di questo Coronavirus reportage, per quanto mi riguarda, è un lavoro soddisfacente (mai al 100% perché sono una persona molto pignola), ma sufficiente per raccontare questo momento, questa crisi che stiamo vivendo, questo puntino nero nella storia di tutti. D’altronde è proprio la fotografia l’unica arte in grado di raccontare bene un avvenimento (insieme al disegno, certo). Sono i fotografi, ogni giorno, che permettono ai giornalisti di scrivere articoli che documentino i fatti e, benché molti cerchino solo click in più, altri sono davvero interessati a raccontare qualcosa (come me medesimo). L’accoglienza da parte delle persone di questi scatti pubblicati sui miei social non è però stata così positiva: c’era chi mi ringraziava per il rispetto delle normative (sono uscito con mascherina, guanti, tesserino, autocertificazione, autorizzazione e mantenimento delle distanze da ogni persona), altri invece mi insultavano, mi diffamavano, mi offendevano “solo” perché stavo svolgendo il mio lavoro come tanti altri. C’è chi mi ha insultato perché mi sono sentito un supereroe al pari dei medici (mai pensato), c’è chi mi ha insultato perché non ho capito nulla della quarantena e chi, direttamente sul suo profilo Facebook, mi ha diffamato pubblicamente (cosa che verrà regolata con il mio legale, ovviamente), perché secondo lui non ho rispettato le normative in vigore (nonostante avessi tutta la documentazione comprovante).
Questo dimostra come molte persone erano pazze, squilibrate e folli anche prima, ma, con questa quarantena, si sentono in diritto di poter giudicare, offendere, diffamare e, soprattutto, dimenticarsi il rispetto per gli altri, o dimenticarsi che in fondo siamo tutti umani e dovremmo davvero aiutarci, stare insieme, essere vicini e dimostrare che abbiamo imparato dai nostri errori del passato e siamo in grado di essere una grande famiglia. Purtroppo non va sempre tutto bene e forse non andrà tutto bene, ma non lo dico per essere negativo, lo dico per essere realista. Ho capito che non sta andando tutto bene anche dal fatto che l’altro giorno ero a fare la spesa nel solito supermercato della zona, quello che non è grandissimo ma che ha tanti negozi sempre attivi e aperti. Ovviamente tutti i negozi erano chiusi e molte corsie del supermercato interno sono state bloccate con del nastro che ne impediva l’accesso in quanto, seguendo la normativa, è necessario acquistare solo beni di prima necessità, e molti tra quelli presenti in un supermercato non lo sono. È stato piuttosto tetro entrare in un supermercato di solito estremamente vivo durante il sabato pomeriggio e vedere tutto “morto”, chiuso, spento, transennato, vigilato da guardie munite di guanti e mascherine che vagavano per assicurarsi che tutti rispettassero le regole.
Tuttavia, ahimé, non è questa la cosa più triste, perché durante questa “sessione di acquisti”, che specifico, non era “solo per latte e biscotti” (cerco sempre di fare spese importanti per uscire il meno possibile), è capitato qualcosa che non ha precedenti in nessun modo: ero nella corsia della verdura, avevo appena messo un po’ di pane da congelare nel carrello affinché la scorta potesse essere moderata (specifico: tre buste di panini francesi, quantità che può bastarmi per circa due settimane) e ho notato, mentre mi allontanavo, che una persona si è avvicinata al mio carrello e ha rubato il mio pane, giustificandosi con “è finito e serve più a me che a te”. Scene del genere, secondo me, dimostrano come la pandemia di cui tanto si parla ora vada ben oltre tutte le situazioni descritte al telegiornale. Per carità, non me ne voglia chi sta subendo torture incredibili intubato in ospedale senza poter vedere i propri cari, ma, proprio per questo motivo, a maggior ragione non possiamo, noi cittadini, comportarci in questo modo vergognoso.
Coronavirus reportage: serve collaborazione per vincere
Noi stiamo bene, non abbiamo la febbre o la tosse, non siamo in una camera d’ospedale da soli, possiamo ancora guardare fuori, giocare con i videogiochi, telefonare agli amici, guardare un film, ordinare una pizza a casa…cose che chi è in terapia intensiva potrebbe non fare più. È questo ciò che capisco dal mio Coronavirus reportage: stiamo affrontando una grande crisi creandoci problemi per nulla, litigando per problemi inutili, insultando il prossimo, rubando il cibo dalla bocca delle persone, e tutto questo senza il rischio che quest’ultimo possa esaurirsi, perché la produzione continua e le consegne anche. È questo che un po’ mi delude di tutto questo: nel 2020, di tante persone che si dimostrano proattive nella causa, che aprono crowdfunding e ottengono risultati e si interessano al prossimo, ce ne sono tante altre pronte a sputare in faccia alle persone (come successo a Modena, dove un ragazzo ha sputato in faccia ad alcune persone proprio durante un’epidemia virale che si può trasmettere tranquillamente con la saliva), pronte ad insultare, pronte a dimostrarsi cattive e non collaborative. Non starò qui a fare il polemico scrivendo o pensando discorsi da complottista, ma forse è bene riflettere anche su noi stessi prima di tutto, su come ci stiamo comportando, su cosa stiamo dimostrando e su quanto siamo fortunati a non essere in fin di vita senza la possibilità di salutare i nostri cari, o di essere sepolti in un cimitero in quanto non è attualmente possibile organizzare funerali a causa del Coronavirus.
Coronavirus reportage: galleria fotografica completa
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