Sul calare del 2021 e con l’inizio del 2022, un film nello specifico ha fatto parlare tanto di sé. “Don’t Look Up” ha letteralmente spaccato in due l’opinione pubblica grazie a un tipo di narrazione non classico e a tratti disorientante. Per me, però, sta proprio in questo la sua forza e ne parleremo meglio qui, con la Don’t Look Up recensione, fruibile da tutti perché senza la presenza di spoiler.
Don’t Look Up recensione: introduzione
“Don’t Look Up” nasce come progetto della Paramount Pictures, che a fine 2019 ne ha annunciato l’avvio svelandone il regista: Adam McKay. Le riprese, causa pandemia, sono cominciate quasi un anno dopo, nel novembre 2020, concludendosi tre mesi dopo. Il 2021, quindi, è stata la finestra temporale per riuscire a promuoverlo il più possibile in vista dell’uscita ufficiale, avvenuta nei cinema italiani l’8 dicembre. Netflix, poi, ne ha acquistato i diritti, portandolo sulla piattaforma streaming dalla Vigilia di Natale. Insomma, il giusto tocco grottesco per intavolare al meglio il clima festivo.
Don’t Look Up recensione: dicevamo, Adam McKay
Classe 1968, lo statunitense Adam McKay ha all’attivo numerose produzioni e sceneggiature per il grande e piccolo schermo. Dopo il Saturday Night Live, voglio ricordarlo per un paio di film piuttosto recenti, per cui è stato candidato o ha vinto dei premi, ossia La grande scommessa nel 2015 per il quale vinse l’Oscar alla migliore sceneggiatura non originale e nel 2018 con la direzione di Vice – L’uomo nell’ombra, che ricevette numerose nomine tra Oscar, Awards e Golden Globes.
Film di diverso spessore e peso, che l’hanno portato alla realizzazione di quello che personalmente ritengo il suo film più riuscito e meno dimenticabile e che spero possa ricevere le stesse attenzioni dei lavori precedenti con qualche candidatura alle premiazioni previste quest’anno. Sia ben chiaro: non si sta parlando certo del capolavoro del secolo, ma sicuramente di un film che lascia il segno per quell’ironia tagliente che strappa una risata ma lentamente prosciuga dentro.
Don’t Look Up recensione: la trama del film
La dottoranda in astronomia Kate Dibiasky e il suo professore Randall Mindy giungono alla scioccante scoperta di una cometa che nel giro di pochi mesi impatterà inesorabilmente con la Terra. Non si sta parlando di qualche frammento, né di qualcosa di vagamente controllabile: un fenomeno di questo tipo non si vedeva dai tempi dell’estinzione dei dinosauri. Com’è possibile svelare all’umanità una notizia così folle e drammatica?
Bene, è proprio attorno a questo che la pellicola ruota: la reazione dei singoli e delle masse. Lo si evince subito, quando i due studiosi affrontano l’argomento con il Presidente degli Stati Uniti, scatenando una reazione insolita, sorprendente, ma assolutamente plausibile: la minimizzazione. Non si tratta di un comportamento a sangue freddo per razionalizzare il tutto, bensì l’intento di oscurare subito il tutto, sotterrandolo sotto le risate e l’indifferenza.
“Va tutto bene”, “Non è necessario che la popolazione sappia”, “Non è così grave come si dice a parole”. Quante volte queste frasi sono state pronunciate, non soltanto nella fantasia ma anche nella realtà? Ha così inizio un viaggio che gradualmente porta i protagonisti e lo spettatore a rimanere di stucco di fronte alla bizzarria del pensiero comune, correlando tutto all’attualità, la nostra, quella che si stacca dallo schermo ed è possibile toccare con mano.
Una narrazione di questo tipo mi ha ricordato molto Idiocracy di Mike Judge, un film che già nel 2006 era avanti anni luce con il modo in cui certi argomenti devono essere veicolati. Ci troviamo di fronte a due commedie a sfondo fantascientifico e apocalittico in grado di terrorizzare per il loro essere specchio della società, che sia essa di adesso o venti anni fa.
Don’t Look Up recensione: una critica all’attualità
Anche di fronte alla scienza e ai suoi dati incontestabili si è sempre pronti ad alleggerire l’atmosfera nel tentativo vano di dimenticare e passare oltre. Perfino la donna più influente, la Presidente degli Stati Uniti, mette al primo posto le elezioni in corso piuttosto che mobilitarsi per capire se esiste anche solo una piccola speranza di sopravvivenza per tutti. Lo stesso vale successivamente per i programmi televisivi, che portano di fronte alle telecamere Randall e Kate quasi come a mostrare dei fenomeni da baraccone, dei personaggi folli di cui creare meme sui social piuttosto che due esperti che hanno realmente qualcosa da dire.
Perfino la catastrofe più inevitabile e definitiva diventa di fatto una chiacchiera di cui vip e influencer possono parlare e da cui possono guadagnarci qualcosa. Questo micro/macro mondo viene qui rappresentato dalla cantante Ariana “Riley Bina” Grande, che prende il tema e ci costruisce attorno un concerto ad hoc. “Presto moriremo tutti” intona a gran voce, eppure attorno a sé commuove, intrattiene ed emoziona come se non il pericolo non fosse letteralmente sopra alle teste di tutti.
“Don’t Look Up” vuole risvegliare le coscienze con tematiche attuali più che mai, dal cambiamento climatico alle risorse manovrate dai potenti, dalla spettacolarizzazione del dramma alla minimizzazione dei reali problemi mondiali e tanto altro che con il giusto sarcasmo emerge scena dopo scena. Viene fatta una critica costruttiva che però ancora una volta è stata sottovalutata da tanti e data per scontata. Si parla di mediocrità, di un film arido che non ha nulla da raccontare, ma che se osservato da un’altra angolazione ha ancora molto da dire.
Perfino questo spaccato di opinioni può essere rivisto nel film stesso, con la nascita degli hashtag #lookup e #dontlookup che invitano a considerare o meno il problema del corpo celeste in rotta di collisione. In tutto questo i protagonisti si ritrovano in qualche modo vittime del loro essere professionalmente esperti e integerrimi nell’animo, guastati da un ambiente malvagiamente seduttivo non intenzionato ad ascoltare. E forse non lo sarà mai.
Don’t Look Up recensione: il cast stellare
“Don’t Look Up” ha dalla sua un cast da Oscar: Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence sono rispettivamente Kate Dibiasky e Randall Mindy, affiancati da una divertente e inquietante Meryl Streep nei panni della Presidente Janie Orlean. Jonah Hill è l’irritante assistente Jason Orlean, Cate Blanchett è la conduttrice Brie Evantee e Mark Rylance il bizzarro magnate Peter Isherwell. Una menzione doverosa per Timothée Chalamet, che seppure come breve comparsa riesce, con il suo Yule, a mostrare al pubblico una delle sue tante sfaccettature attoriali.
Nel complesso, di fronte ad attori di questo calibro, non si può dire nulla: i personaggi sono tutti ben caratterizzati, era impossibile fallire in questo e ognuno di loro diventa iconico a modo suo. Basta solo un aggettivo per definirli e subito si ha ben chiaro chi si ha di fronte, pur continuando a rimanere sorpresi dagli sviluppi.
Don’t Look Up recensione: conclusioni
“Don’t Look Up” è un film che riesce con semplicità nel suo intento di critica. Ci sono film che l’hanno preceduto che forse sono ancora più importanti e incisivi, ma quello che ho apprezzato di questa pellicola è il riuscire a dare fastidio e a mettersi in discussione così tanto. Tra easter eggs e traguardi meritati penso proprio che continueremo a sentirne parlare ancora per un po’.
Vi ricordiamo che se ancora non lo aveste visto, il film è disponibile su Netflix e continua ancora oggi a rimanere nella classifica dei Top 10 più visti.
Avete visto “Don’t Look Up”? Cosa ne pensate? Lo guarderete? Tocca a voi farci sapere la vostra nei commenti!
Recensione in breve
Don't Look Up
Un film fantascientifico che porta il pubblico a confrontarsi con temi attuali e scomodi e che sprona a riflettere senza essere complottistico.
PRO
- Cast corale da Oscar, all'altezza dei ruoli
- La durata considerevole (138 minuti circa) non scalfisce l'attenzione del pubblico
- Tanta critica attuale che porta alla riflessione
- L'utilizzo di tante tematiche per veicolare il proprio messaggio
CONTRO
- Avrebbe potuto essere ancora più cinico