Raccontare con la fotografia. Colpire, arrivare dritti al punto per smuovere le acque. Narrare momenti struggenti tanto quanto necessari a far comprendere a tutti noi delle situazioni, a farci sentire le grida di coloro che chiedono soltanto di poter scegliere per la loro vita: “Fine pena mai” è il reportage fotografico di Carmine Benincasa sull’eutanasia, un progetto importante che merita di essere raccontato e, soprattutto, vissuto.
Fine pena mai: chi è Carmine Benincasa

Prima di parlarvi di “Fine pena mai“, il progetto fotografico di Carmine Benincasa sul delicatissimo tema dell’eutanasia, ci sembra doveroso farvi una presentazione dell’autore. Forse, i più attenti tra voi, ricorderanno che l’abbiamo avuto come ospite in FotoNerd Podcast, creando quella che a nostro parere è una delle migliori puntate che abbiamo mai realizzato perché ricca di vita, aneddoti e dichiarazioni d’amore per il proprio lavoro.
Sì, quel lavoro che spesso non viene apprezzato quanto dovrebbe: il reporter. Carmine lavora da anni con FanPage.it e ha maturato tutta la sua esperienza sul campo, vivendo in prima persona i drammi e gli eventi. Non si è mai fatto da parte ed è sceso in prima linea con una fortissima motivazione: raccontare e far conoscere a noi le vicende del mondo e delle persone. Un compito nobile che, purtroppo, spesso non viene recepito e nemmeno compreso.
Carmine Benincasa è un giornalista, videoreporter, fotoreporter e documentarista che, dall’età di 17 anni, pubblica le sue inchieste su varie testate. Partendo da quelle locali, è arrivato a farsi un nome importantissimo nel settore realizzando reportage che hanno smosso l’opinione pubblica e pubblicando per BBC, ABC, Indipendent e Corriere della Sera. Disastri ambientali per opera della criminalità organizzata, comunità emarginate e sotto-rappresentate, temi delicati come quello di cui andremo a parlare in questo articolo: Carmine ha dedicato tutta la sua vita al raccontare, cercando di farlo nel modo più onesto e limpido possibile.
Fine pena mai: un tema delicato
Eutanasia. Una parola forte, che fa paura. Eutanasia. Un discorso ancora tabù, soprattutto in luoghi dove l’influenza della Chiesa è forte. Eutanasia. Il grido di dolore di coloro che vorrebbero scegliere il proprio destino ma non possono farlo, bloccati in uno stato che non ritengono più vita. Potremmo parlare di ore di questo delicato argomento, senza venirne a capo: ci sarà sempre chi vi dirà che ha senso e chi vi dirà il contrario, ma il punto non è questo. Il punto è che ognuno di noi dovrebbe essere libero di scegliere, perché siamo esseri senzienti che hanno facoltà di ragionare. Troppo facile mettersi lì a dire: “Sì, ma è pur sempre vita che senso ha morire?“. Cito questa frase perché, personalmente, mi è capitato di sentirla. Coloro che affermano con forza questa cosa dovrebbero capire che non sono nella mente e nel corpo di una persona che chiede con forza l’eutanasia, perché non possono sapere cosa prova quell’essere umano in quella situazione. Fine pena mai non vuole prendere una posizione chiara e netta, come giusto debba essere, vuole solo raccontare la verità.
“Io sono pro alla vita, ma a una vita vissuta“
Queste sono le parole di Gustavo, 68 anni, in Fine pena mai, capaci di riecheggiare come un tamburo nelle orecchie. Lui è disabile fin dalla nascita e nel suo paese lo chiamavano “Figlio del Demonio”. Questo per farvi capire quanto le persone possano essere ignoranti e quanto anche tutto questo poi arrivi ad influire su una vita già non semplice. Chi può biasimare Gustavo per essere pro alla vita quando è vissuta? Chi di noi ha il diritto di andare contro di lui quando afferma che quella che sta vivendo non è vita? Noi stiamo bene, ci alziamo la mattina con un caffè come massimo pensiero. Forse ci ha lasciato la ragazza, forse le cose a lavoro non stanno andando bene. Forse, ma non siamo Gustavo e non viviamo la sua disabilità. Noi non possiamo giudicare la sua volontà perché non siamo lui e, sperando vada sempre per il meglio, non lo saremo mai. Quindi qui vorrei ricollegarmi al discorso di prima: chi siamo noi per poterci esporre? Certo, le chiacchiere da bar sono sempre un must per ogni luogo e momento, ma il problema arriva quando si vuole avere voce in capitolo e far valere la propria idea su un argomento (e una vita) di cui non si sa proprio nulla. Noi possiamo avere le nostre idee, ma non saranno mai giuste. E, soprattutto, non valgono per tutti coloro che soffrono di una qualsiasi disabilità.
Fine pena mai: il racconto necessario che fa male
A meno di essere robot, non può non far male il reportage Fine pena mai di Carmine. Duro, necessario, capace di smuovere diverse sensazioni dentro di noi. Figlio di una necessità, figlio di un bisogno di raccontare le proprie volontà. Figlio del dolore, del capire il senso della vita. Figlio delle urla di coloro che non possono scegliere. Il referendum sull’eutanasia ha raccolto più di 850 firme, eppure siamo ancora lontani da una soluzione: d’altronde siamo in Italia, dove per far approvare una legge importante devono passare millenni. Da sempre l’influenza dello Stato della Chiesa è stato preponderante nel nostro paese, ed è stato un problema per molte leggi che non sono riuscite a passare.
Fine pena mai ci racconta il dolore e lo fa attraverso le parole, gli occhi e i gesti di individui diversi accumunati, purtroppo, dalla stessa situazione. Lo fa attraverso gli occhi di Sabrina, madre di due bambini con la SLA, gli occhi di Laura e Stefano. Di Gustavo. Un video di 10 minuti che lascia con il cuore in gola, fotografie che parlano e ci fanno pensare.
Il racconto di Carmine si fa strada tra immagini dolorose contraddistinte da un bianco e nero duro, necessario a togliere di mezzo qualsiasi distrazione per lasciare voce solo a ciò che è importante.
Osservando Fine pena mai fermatevi a pensare ad una madre che osserva i figli soffrire per la loro malattia incurabile, dicendovi al contempo che nessuno dei due vuole farsi intubare e che lei, in qualità di madre, deve accettarlo. Immaginatevi il dolore, la resilienza celata dietro queste parole. Provate, per un solo secondo, ad immaginarvi le battaglie quotidiane, gli attimi di pace spezzati da quelli di bisogno. Provate, per un solo secondo, a ritrovarvi la sera, da soli, con la paura. Quella paura e quel dolore che possono essere mitigati, ma che non se ne andranno mai. Provate, per un secondo, a mettervi nei panni di una persona che per vivere ha bisogno di un’altra figura, sentendovi costantemente un peso emotivo e fisico.
Fine pena mai: le nostre conclusioni
La storia di Carmine Benincasa tocca l’anima, e lo fa con una furia devastante. Spesso, è proprio questo che ci vuole: un racconto duro, crudo e reale. Un ritratto concreto che, per quanto possa fare male, riesca a lasciare il segno. Questa è la forza della fotografia, questa è la forza di Fine pena mai. Seguite questo link per visitare il sito ufficiale di Carmine Benincasa.
Il nostro consiglio è quello di uscire da questo articolo, ora, arrivati a questo punto, e lasciarvi trasportare dalle emozioni. Non abbiate giudizi, non abbiate paura: il dolore è necessario per provare a comprendere. Il dolore è necessario per provare a capire.