La recensione di Fino All’Ultimo Indizio non può prescindere da un paragone con Se7en di David Fincher. Non solo perché il genere è lo stesso. Non solo perché l’argomento è lo stesso. Ma proprio perché è lo stesso film, che si nasconde dietro il dito di qualche piccola variante sugli eventi. E non ci sarebbe nulla di male se l’opera di clonazione fosse fatta con tutti i crismi e avendo bene in mano le redini di ciò di cui si sta parlando. Ma John Lee Hancock la materia la mastica davvero poco e in più non ha le idee chiarissime su dove voglia andare a parare, fallendo sotto quasi tutti i punti di vista.
Fino All’Ultimo Indizio recensione: l’elefante nella stanza
Se avete letto le due righe di preambolo, allora l’elefante l’avete visto chiaro e tondo e non c’è bisogno di far finta che non ingombri la stanza. Fino All’Ultimo Indizio è Se7en. Senza se e senza ma. Dimostrazione pratica, segue la trama in breve di Fino All’Ultimo Indizio, prima di passare alla recensione:
“Los Angeles, 1990, la polizia, ancora scossa dall’Estate di Sangue di Richard Ramirez, aka The Night Stalker, si trova a fronteggiare un altro temibile, misterioso e sfuggente Serial Killer. Un vecchio, stanco e disilluso vicesceriffo di campagna (Denzel Washington) si reca alla centrale di L.A. per ritirare delle prove e conosce un detective (Rami Malek) in carriera: rampante, idealista e ansioso di risolvere il caso. I due fanno comunella e decidono di mettersi sulle tracce del Serial Killer combinando le loro doti: il vicesceriffo ha dalla sua l’esperienza, avendo lavorato nella omicidi per tutta la vita prima di essersi ritirato in mezzo ai campi per espiare un oscuro passato; il detective ha dalla sua che è giovane e forte e lavora ancora nella omicidi ed ha accesso a tutte le risorse sisponibili. Ma il Serial Killer è più subdolo di quanto si pensi, è un astuto manipolatore e vuole giocare con i due poliziotti, spingendoli fino a un limite che non vogliono e non possono superare.”
Vi ricorda qualcosa?
Tutto il resto è contorno. In Se7en piove tutto il tempo e in Fino All’Ultimo Indizio c’è il sole che spacca le pietre. In Se7en la storia è piuttosto lineare e in Fino All’Ultimo Indizio c’è un montaggio che inserisce pezzi del passato in mezzo al film per portare a un deludente colpo di scena che sarebbe stato meglio vedere subito. In Se7en il Serial Killer è pura e rassicurante fiction (nel senso che non esistono e mai ne esisteranno così come descritto nel film), in Fino All’Ultimo Indizio tentano di costruirne uno realistico senza riuscirci. In Se7en a dirigere c’è David Fincher, in Fino All’Ultimo Indizio c’è John Lee Hancock.
Riassumendo, le differenze tra i due film sono queste: David Fincher conosce il genere thriller e i Serial Killer a menadito e li piega a vantaggio dello spettacolo cinematografico. John Lee Hancock ne ha letto le definizioni su Wikipedia e ha deciso che poteva farlo anche lui.
Fino All’Ultimo Indizio recensione: non ci sono più i Serial Killer di una volta
Non fraintendetemi, il problema di Fino All’Ultimo Indizio non è come viene trattato il Serial Killer. Fosse solo quello e il resto funzionasse molto bene, allora sarei il primo a essere contento, perché i thriller incentrati sulla caccia agli assassini seriali sono sempre troppo pochi per i miei gusti. Il problema è che il film non funziona a più livelli.
Il primo livello sono la sceneggiatura e il montaggio. John Lee Hancock è troppo concentrato sull’arrivare alla fine con due colpi di scena, uno dietro l’altro, senza preoccuparsi di costruire personaggi credibili e legami tra di loro. Denzel Washington e Rami Malek diventano amici e cominciano a fidarsi l’uno dell’altro senza che ci sia un vero motivo plausibile. All’inizio scazzano, poi sono amicissimi e si ha la sensazione di essersi persi una scena (davvero, sono tornato indietro a controllare, ma non c’è). E soprattutto John Lee Hancock vuole un finale a là Se7en: scioccante, che rimanga nella storia del cinema distruggendo tutte le convinzioni che abbiamo sui poliziotti e sull’essere umano. E lo fa in due modi totalmente sbagliati.
Innanzitutto, come già dicevo, distribuisce frammenti di quello che sarebbe dovuto essere un preambolo, lungo tutto Fino All’Ultimo Indizio, spezzando di continuo il ritmo della narrazione e confondendo lo spettatore. Non ha nemmeno l’accortezza di cambiare fotografia per far capire che si sta guardando un pezzettino di una cosa successa in passato e non è contemporanea a quello che succede nel presente. Ci si rende conto che quelli sono frammenti di una cosa già successa solo alla terza o quarta volta. E questo è fatto per un colpo di scena che arriva quando ormai lo spettatore è stufo e nemmeno ci pensa più a quel misterioso dramma che affronta il personaggio di Denzel Washington. Forse perché a grandi linee, senza entrare nei dettagli, lo spiegano all’inizio.
Il secondo modo totalmente sbagliato è copiare in modo pedissequo il finale di Se7en, cambiando i particolari, ma mantenendo la stessa dinamica e lo stesso senso. Cosa che avrebbe pure potuto funzionare se ci fosse stata una certa affezione al personaggio di Rami Malek, cosa che non succede.
E qui arriviamo al secondo grosso problema di Fino All’Ultimo Indizio: la recitazione. Denzel Washington interpreta un personaggio, già visto e rivisto mille volte, di Denzel Washington. Diciamo che, dall’alto della sua esperienza, Denzel ha messo il pilota automatico e ripropone a oltranza una serie di smorfie cupe e sofferte o cupe e indagatrici viste mille volte. Ma non credo sia totalmente colpa sua, quanto sia un problema di scrittura, il suo personaggio è piuttosto sottile, il classico ex-detective stanco e disincantato che ne ha viste e fatte troppe e si è ritirato in un posto sperduto nel nulla. Ma ha l’ultima occasione di riscattarsi risolvendo un vecchissimo caso e facendo pace col passato. Sì, esatto, sembra uscito da un film poliziesco qualsiasi.
Rami Malek è totalmente fuori contesto. Uno scoiattolo con le pinne. Non me ne vogliate, ma trovo Rami Malek uno degli attori più sopravvalutati di tutti i tempi che ha avuto la fortuna di fare una serie molto famosa e un biopic campione di incassi molto sopravvalutati. Fino All’Ultimo Indizio è la riprova della sua non capacità recitativa. Rami Malek, con il suo personaggio, non c’entra assolutamente nulla. Lui si impegna pure e in un paio di scene ci riesce quasi, ma per quasi tutto il film ha le stessa espressione, con gli occhi a palla, del “Che succede?! Dov’è Bugo?!” come se fosse scolpita nel legno. Anche qui la sceneggiatura, poverino, non lo aiuta perché il suo è un altro personaggio profondo come la carta velina già visto in mille altri thriller, tipo Se7en. E si comporta esattamente come non dovrebbe comportarsi: a pagina uno del Manuale Del Bravo Detective, subito sotto Capitolo uno, c’è proprio scritto: “Non comportatevi come il personaggio di Rami Malek!”. Piccola nota a margine, ho visto Fino All’Ultimo Indizio in italiano e la voce di Rami Malek non è per nulla adatta al suo viso e crea un senso di straniamento molto pesante. Magari in lingua originale è meglio, al netto di tutto ciò che ho detto.
Jared Leto è invece la luce in fondo al tunnel. Certo, il suo personaggio non è che brilli per profondità e scrittura, ma Jared Leto lo fa suo, gli dona una serie di caratteristiche uniche: dalla camminata, al modo di muovere le mani, dallo sguardo, alle espressioni alla risata. Va a colmare in modo molto convincente ciò che John Lee Hancock non ha scritto. Purtroppo non basta a risollevare il film, ma ogni volta che Jared Leto appare sullo schermo ipnotizza e rapisce e lo vorresti vedere di più, anzi, è quasi l’unica ragione per finire di vedere Fino All’Ultimo Indizio.
Fino All’Ultimo Indizio recensione: amare conclusioni
Aspettavo trepidante l’uscita di Fino All’Ultimo Indizio per gustarlo e scriverne la recensione. Speravo in una storia appagante, ben diretta, un thriller morboso e disturbante che tiene incollati allo schermo e rimane addosso per giorni, ma così non è stato e la delusione è stata molta. Però non voglio che passi il messaggio che sono le mie aspettative smontate a non farmelo ritenere un film riuscito. Mi è successo molte volte di aspettarmi una cosa, vederne un’altra ed essere soddisfatto lo stesso. Il fatto è che Fino All’Ultimo Indizio non è un bel film. Non annoia, perché la curiosità di sapere dove vuole andare a parare John Lee Hancock è tanta, ma questo è il volano più sbagliato.
Perché è proprio questo il vero vero problema di Fino All’Ultimo Indizio: dove vuole andare a parare John Lee Hancock? Forse non lo sa nemmeno lui. Fino All’Ultimo Indizio parla di un Serial Killer sui generis che non ci viene descritto. O meglio, ci viene data una caratteristica all’inizio e un altro paio di indizi, ma non si indaga nella sua mente, non ci vengono date motivazioni (plausibili o meno che siano ha poca importanza) e soprattutto non incombe, come dovrebbe, nel film e nell’atmosfera generale della pellicola. Il John Doe di Se7en era di tutt’altra pasta, era una presenza disturbante e si sentiva proprio l’urgenza che venisse preso o fermato in qualche modo. Il Killer di Fino All’Ultimo Indizio invece non si vede e non si sente, tanto che a un certo punto ci si dimentica pure su cosa stiano indagando e facendo sforzi i protagonisti.
Allora John Lee Hancok vuole fare un film sui rapporti personali e sul fatto che i poliziotti siano comunque esseri umani e per questo fallibili? Possibile, ma i rapporti tra i personaggi succedono perché così deve essere altrimenti il film non va avanti, ma manca totalmente il coinvolgimento dello spettatore in queste dinamiche. Come dicevo, a un certo punto Denzel e Rami sono amici e non si capisce perché, o meglio, non c’è quel momento in cui scatta qualcosa e il rapporto lavorativo diventa privato. E se anche volesse trattare il dualismo “prosaica fallibilità umana contro utopistica infallibilità del poliziotto”, il detective interpretato da Rami Malek si comporta in un modo senza alcun senso logico e pratico, da risultare quasi stupido e ci si ritrova a pensare che se l’è andata a cercare e quello che gli capita gli sta bene.
Allora John Lee Hancock punta a un finale scioccante che segna? Questo sì, ma mancano i presupposti perché sciocchi e segni. Perché se non c’è empatia e i personaggi non risultano credibili, il colpo di scena non funziona, cade nel vuoto perché arriva fuori tempo massimo, quando ormai lo spettatore ha fatto uno sbadiglio di troppo e non colpisce.
Rimane l’ultima ipotesi, non volendo accettare il fatto che John Lee Hancock non sapesse proprio cosa stesse facendo: voleva fare un nuovo Se7en. Ma non ci siamo proprio. Se7en è su un altro pianeta. David Fincher è su un altro pianeta. John Lee Hancock non è su quel pianeta, anzi, non sta nemmeno partendo per quel pianeta, è a casa che guarda su YouTube un tutorial su come si fanno i thriller. E non me ne vogliate, The Blind Side, Saving Mr. Banks, e The Founder mi sono piaciuti molto e trovo Hancock bravissimo nel dirigere i biopic. Ma Highwayman – L’Ultima Imboscata, altro thriller o giù di lì, mi ha lasciato piuttosto indifferente e questo Fino All’Ultimo Indizio è inconcludente. A parte Jared Leto non ci trovo davvero nulla che valga la pena di essere lodato.
La cosa buffa è che Fino All’Ultimo Indizio in originale si intitola The Little Things e, come dice il personaggio di Denzel Washington, sono le piccole cose, i piccoli indizi, che ti permettono di prendere il criminale (non è testuale, ma è importante il senso) e in questo film è proprio la somma di tutte le piccole cose che sono state trascurate ad averlo affossato.
Questo è il trailer ufficiale di Fino All’Ultimo Indizio, disponibile sulle principali piattaforme streaming, tra le quali Prime Video, Apple TV+, YouTube, Chili, Sky Primafila e Infinity TV:
Recensione in breve
Fino All'Ultimo Indizio
Fino All'Ultimo Indizio vorrebbe essere il nuovo Se7en, ma non ce la fa. Fallisce sotto tutti gli aspetti: dalla sceneggiatura, al montaggio, ai personaggi, alla recitazione. Il fatto è che non si capisce di cosa parli, perché ne parli, cosa voglia dimostrare e dove voglia andare a parare. Certo, alla fine c'è una serie di colpi di scena, ma non arrivano al bersaglio, perché manca la costruzione. Una nota positiva, l'interpretazione di Jared Leto.
PRO
- Jared Leto
- Fa venire voglia di rivedere Se7en
CONTRO
- Tutta la parte tecnica: sceneggiatura, regia e montaggio
- I personaggi sono stereotipi visti mille volte
- Rami Malek è totalmente fuori parte
- C'è poco o nulla che appassioni e per un thriller è davvero grave