Il male invisibile, quel nemico che non si vede e ancora impossibile da combattere: in questo articolo vogliamo affrontare la toccante storia di Lea Thijs, fotografa che ha deciso di raccontare la storia di suo padre Alain alle prese con il bipolarismo. La fotografia come mezzo di comunicazione, racconto e vincita sul dolore.
Fotografa racconta il padre con bipolarismo: un nemico invisibile
Esistono nemici impossibili da combattere, invisibili agli occhi ma capaci di farci cadere in un tunnel di depressione e paure; malattie che si celano in un angolo remoto, fino a quando arrivano a bussare alla nostra porta cambiando il nostro modo di vivere, vedere il mondo e relazionarci. In questo articolo, tratto da quello di Feature Shoot, vogliamo parlarvi della toccante storia di Lea Thijs, fotografa che ha deciso di affrontare il disturbo bipolare del padre Alain grazie alla fotografia. Un racconto di resilienza e accettazione, di dolore e umanità che prende vita tramite una serie di scatti realizzati in bianco e nero.
Il disturbo bipolare o bipolarismo è una malattia che si stima colpisce l’1% della popolazione mondiale, ossia 7,8 milioni di persone costrette a convivere con questo demone caratterizzato da attacchi estremi ed episodi maniacali e depressivi. Il BPD (così chiamato in gergo) appare solitamente nella prima età adulta e, tutt’oggi, non si conosce la causa scatenante esatta. La stessa diagnosi della malattia è relativamente recente e, per anni, moltissime persone hanno dovuto combattere senza sapere cosa le stesse attanagliando, il perché tutto fosse diventato grigio e cupo all’improvviso. Un dolore silenzioso, un’eco senza tempo e senza dimora che divora coloro che lo sentono e coloro che lo vedono, ossia i figli e i parenti che devono assistere impotenti ai repentini cambi di umore dei loro cari, alla loro sofferenza silenziosa e lacerante.
Fotografa racconta il padre con bipolarismo: la storia di Alain
Alain Thijs soffre da vent’anni di bipolarismo, anche se la malattia gli è stata diagnosticata solo recentemente. Sua figlia, Lea Thijs, ha deciso quindi di documentare e raccontare il suo male con la serie Safe House, composta da fotografie in bianco e nero che mostrano la quotidianità dei momenti. Un modo per combattere questa malattia silenziosa e invisibile, un veicolo per l’accettazione e la pace interiore che, forse, non arriverà mai. Il tenero ritratto di un uomo sofferente e in perenne lotta con la sua mente e i suoi stimoli, un libro che ci lascia contemplare i momenti senza alcuna didascalia invasiva.
Ho voluto fotografare mio padre, a cui recentemente hanno diagnosticato il disturbo bipolare. Essere in grado di dare un nome alla sua malattia dopo vent’anni è un sollievo, spiega il perché di certi comportamenti e ci ha aiutato a costruire un ambiente sostenibile attorno a lui. Ho sentito il bisogno di raccontare la sua vita, perché la fotografia non è altro che una porta aperta per esplorare il mio rapporto con lui”, le parole di Lea Thijs.
Fotografa racconta il padre con bipolarismo: deve fermarsi
“Deve fermarsi. Questo deve fermarsi. Deve fermarsi! Nessuna speranza, ho bisogno di essere libero e più forte dei miei incubi“. Parole toccanti che aprono uno squarcio in cui ha la forza di leggerle, mentre scorre fotografie che rappresentano un uomo con i suoi incubi più reconditi. Non sappiamo se sono tutte vere o se alcune sono frutto di una messa in posa, ma alla fine non è questo lo scopo di tutto? Chi sa cosa è vero e cosa non lo è, quando si affronta un nemico invisibile e impossibile da sconfiggere?