Fotografia HDR è una guida necessaria per tutti gli utenti principianti o avanzati desiderosi di approfondire questa famosa tecnica in grado di aumentare, di fatto, la gamma dinamica della propria fotocamera. In questa guida troverete definizioni, consigli e tecniche sia per quanto concerne la fase di scatto, sia per quella di post-produzione, necessaria e fondamentale per ottenere il giusto risultato. Potreste essere in questa guida anche perché, banalmente, avete comprato uno smartphone recente, avete visto la sigla “HDR” all’interno dell’applicazione della fotocamera e vi state chiedendo a cosa possa servire. Volendo, questa guida è valida, in parte, anche per chi ha comprato un TV HDR (quasi sicuramente 4K) e si sta chiedendo a cosa serva. Ma ancora, volendo, se avete comprato una PS4 Pro e tra le caratteristiche c’è “supporto HDR” ma non sapete cosa significhi. E ancor…ok basta, altrimenti non mi fermo più. Sigla…ah no, guida!
Fotografia HDR: cos’è e come funziona
La sigla “HDR” sta per “High Dynamic Range” che si può tradurre in italiano come “gamma dinamica ampia” (o estesa). Si tratta di una tecnica (ma ormai anche una tecnologia integrata) in grado di estendere la gamma dinamica di immagini statiche e fotogrammi in movimento (video). Ma facciamo un passo indietro: cos’è la gamma dinamica?
Vorrei darvi una definizione breve e non troppo tecnica, perché in effetti questa non è la guida dedicata alla gamma dinamica ma è giusto che sappiate, in parte, cosa sia, dato che vorreste (o dovrete) estenderla. E perché estendere qualcosa senza neanche sapere di cosa si sta parlando?
La gamma dinamica, in fotografia digitale, è un intervallo tra vari tipi di intensità di luce misurabili. Parlando di “mera” gamma dinamica ci si può riferire a più argomenti o dispositivi: scanner, fotocamere, videocamere, monitor, stampa e così via. Prendiamo l’esempio di una foto di un paesaggio: nella scena catturata è necessariamente presente una gamma dinamica, cioè un intervallo di intensità di luce presente all’interno del fotogramma e che va dalla parte più scura (cioè quella delle ombre) a quella più chiara (cioè le alte luci). Ogni sensore di ogni fotocamera ha dei limiti di gamma dinamica, nel senso che in certe particolari scene ad alto contrasto, sarà difficile catturare tutti i dettagli del frame nello stesso modo o con lo stesso intervallo. Se, ad esempio, volete fare la foto ad un paesaggio in cui nella parte superiore del frame c’è il cielo e nella parte inferiore della vegetazione (ad esempio degli alberi), questo può già essere una situazione di gamma dinamica elevata in cui il vostro sensore si porrà dei limiti. Dovrete quindi fare una scelta: fotografare il cielo perfettamente esposto con la vegetazione leggermente in ombra oppure viceversa.
Anche un temporale intenso con un gran cielo nuvoloso può essere una condizione di alta gamma dinamica per lo stesso motivo, ma di fatto, avrete notato che il sensore di una fotocamera ha dei limiti e non può ritrarre la scena perfettamente. Come si fa quindi? Si usa la fotografia HDR.
Questo potrebbe essere il momento perfetto per dire una frase come “alla vostra età ero tra i primi a credere nella fotografia HDR, poi è diventato un mezzo molto diffuso negli smartphone e ora nessuno sa davvero cosa sia anche se tutti usano questa tecnica”, ma non lo farò. Anzi, forse l’ho appena fatto. Ad ogni modo, negli ultimi anni c’è stata una vera impennata (stonks) per quanto concerne questa tecnica della fotografia HDR grazie a causa soprattutto alla diffusione di una funzione automatizzata all’interno degli smartphone (che dopo vedremo). Il risultato è stato che migliaia di persone hanno premuto il tasto “scatta HDR ora!” senza sapere cosa volesse significare e quali migliorie avrebbe portato alla foto, motivo per cui esistono tantissime foto mosse o altre in cui non era necessario sfruttare l’High Dynamic Range (anche questa cosa la capirete nel corso della guida, lasciatemi finire il mio sfogo da pensionato).
Nel corso del tempo, l’HDR si è diffuso in tanti dispositivi oltre alle fotocamere, come TV e consolle da gioco, come ad esempio PS4 Pro, versione “professionale” della famosa PlayStation 4 che offre appunto il supporto ai contenuti ad alta gamma dinamica. Grazie ad un televisore con supporto HDR e un riproduttore di contenuti HDR, sarete quindi in grado di visualizzare contenuti con una gamma dinamica superiore in grado di regalare colori più fedeli e “scene” con ombre più dettagliate e alte luci non bruciate. Si perché, più o meno, il concetto applicato alla gamma dinamica in fotografia si applica al video e, di conseguenza, anche ai videogiochi. Personalmente, non sentirei granché la mancanza dell’HDR nei videogiochi, opinione completamente diversa per quanto concerne la tecnica fotografica, dove alcune foto non sarebbero potute esistere senza l’High Dynamic Range. Ora che ho finito il mio sfogo da pensionato posso anche dirvi cosa NON è un HDR, sia mai che vediate foto del genere in giro e le scambiate erroneamente per una tecnica fotografica avanzata e ben studiata. Siete pronti? Vi avviso, se siete sensibili a contenuti particolarmente brutti, questo è il momento per uno scroll rapido col mouse (o col dito) per evitare le foto che state per vedere.
Se avessi scommesso con qualcuno circa la possibilità di consigliare dei sacchetti anti-vomito in un magazine online di fotografia, oggi avrei vinto, perché prima di continuare vorrei consigliarvi qualcosa che, dopo aver visto queste foto, vi sarà certamente utile:
Bene, dopo esservi ripresi, posso continuare con la guida. Questi sono ovviamente esempi da non replicare, casi in cui si fa un uso sbagliato dei software di “merging” HDR, cioè di unione degli scatti in postproduzione. Il contrasto è al massimo, la barra della saturazione è uscita dallo schermo e tutto il resto è un connubio di orridi e terrore su tela. Ma di fatto, ora avete capito cos’è e cosa non deve essere, è giunto il momento di capire come arrivare a risultati interessanti. Perdonatemi, non vorrei essere auto-referenziale ma vorrei mettere una foto qui sotto per allietarvi la visione a cui vi ho appena costretti per dovere di cronaca e insegnamento (per farmi perdonare, insomma).
Fotografia HDR: la tecnica da usare in fase di scatto
Partiamo dalle basi: una fotografia HDR è sempre e per forza, necessariamente, obbligatoriamente, imperativamente, gloriosamente un’unione di più scatti. Non esistono, tecnicamente parlando, altri modi per poter raggiungere un risultato del genere (sempre tecnico basato sulla gamma dinamica). Certo è che se scattate una foto, aumentate contrasto e saturazione “a stecca” (come si suol dire nell’alta borghesia) e pensate che sia un HDR…beh, c’è qualcosa che non va. Avete capito cos’è un HDR e avrete anche capito, pertanto, che non è possibile raggiungere una tale gamma dinamica con una sola fotografia, altrimenti tutto questo non avrebbe senso e io non sarei qui a scrivere la mia solita guida da 800 miliardi di parole per spiegarvi tutto nel dettaglio. Tra l’altro, a tal proposito, non pensate che sia sempre facile riconoscere una foto HDR a prima vista, perché in molti casi potrebbe davvero sembrarvi una foto “normale” se è stata ben post-prodotta.
Questo succede perché il vostro cervello viene ingannato, mi spiego meglio: per voi è naturale guardare la natura all’esterno e notare un cielo sereno con qualche nuvola bianca “standard”, il colore dei fiori, il contrasto nelle piante, la “saturazione” della vegetazione e così via, in fotografia è un po’ diverso, nel senso che si punta a riprodurre ciò che l’occhio umano vede. Si tratta di una cosa molto difficile in quanto, come già spiegato, l’occhio umano è inferiore probabilmente solo alla futura Sony a7SIII (di cui ho parlato in Sony A7SIII Rumors e che, come scoprirete, fa anche il caffè). Per questo motivo, quando capita che il vostro occhio vede una foto HDR fatta bene, con un’elevata gamma dinamica, lo confonderà con la realtà e sembrerà tutto normale. È una questione di “sensazioni” e “occhio”, ma di fatto una foto HDR, proprio per definizione, non è un esubero di artefatti, contrasti, dettagli e “cose” aumentate.
Fotografia HDR: la tecnica del merging automatico
Partiamo dalla tecnica più facile ma, secondo me, meno soddisfacente, ovvero quella del merging automatico. Lo specifico nuovamente, “to merge” dall’inglese significa “unire”, proprio perché nella fotografia HDR è necessario unire più scatti per ottenere una maggiore gamma dinamica (ma questo l’avete già capito poco sopra). Il merging automatico, ahimé, è anche attualmente il più diffuso, proprio perché, come vi spiegavo, negli anni passati è stato introdotto prepotentemente nelle fotocamere degli smartphone e anche in qualche corpo macchina fotografica di vario tipo. In sostanza, scattare un HDR con merging automatico richiede tre operazioni fondamentali e complesse senza le quali non sarebbe possibile:
- aprite l’app fotocamera nel vostro smartphone oppure attivate la modalità HDR nella vostra fotocamera
- premete il tasto di scatto
- aspettate – fine
Ovviamente ero ironico sul “complesso”, in quanto, di fatto, questa operazione è completamente automatizzata. In molti smartphone Android e in tutti gli iPhone, è presente anche la modalità “HDR Auto“, che, se attivata, capisce automaticamente quando deve intervenire per compensare la gamma dinamica.
Questo succede quando, ad esempio su iPhone, state inquadrando qualcosa e compare automaticamente la scritta “HDR”. In questo caso, ho notato che gli smartphone sono abbastanza intelligenti e, ripeto, abbastanza affidabili nel capire quando sia necessario l’HDR. Certo è che se la scritta vi compare quando state cercando di fotografare il contenitore del latte per ricordarvi quale acquistare quando state per andare a fare la spesa c’è sicuramente qualcosa che non va. Ad ogni modo, durante la fase di scatto è molto importante rimanere fermi, quasi immobili, perché lo smartphone deve scattare dalle 3 alle 5 foto (più 3 che 5 di solito), unirle cercando di compensare piccoli movimenti e mostrarvi il risultato finale dopo aver salvato il file. Con gli smartphone moderni è un’operazione di pochissimi secondi, la stessa cosa vale per le fotocamere che integrano questa funzione.
Per quanto concerne le fotocamere però, capiterà sicuramente che se avete impostato lo scatto in RAW la scritta “HDR” sia grigia (“greyed out” come piace dire agli americani): questo succede perché gli scatti in HDR sono sempre e solo in JPEG quando si tratta di merging automatico, motivo per cui la post-produzione potrà essere davvero limitata. Chiaramente, se vi muovete troppo durante la cattura dei tre (o cinque) scatti, il risultato finale sarà mosso, altro motivo per cui è inutile attivare forzatamente la modalità HDR se state fotografando uno skater al parco che fa acrobazie: il risultato finale sarà scarso / mosso.
Fotografia HDR: la tecnica del merging manuale
Cari nerdoni fotografici, qui c’è da divertirsi, perché tutto si complica. Questa fase è un po’ come quando smettete di usare automatismi nella ghiera dei programmi e sfruttate esclusivamente la modalità manuale: è tutto più difficile ma il risultato finale farà la differenza. Con questo non voglio dire che i fotografi professionisti non usano modalità semi-automatiche, ma, per quanto mi riguarda, parlando di fotografia hdr, cerco sempre di preferire questa tecnica del merging manuale perché mi porta ad ottenere risultati qualitativi nettamente migliore. Si tratta ovviamente di una tecnica da eseguire preferibilmente con una fotocamera “classica” e non con uno smartphone, anche se, volendo, potreste usare lo stesso procedimento anche con un telefono Android con lo scatto manuale (cosa che un po’ vi sconsiglio perché il livello di difficoltà è ancora più alto).
Per un merging manuale, significa che è tutto “in manuale”, anche la fase di scatto, ergo, a seconda della complessità della scena o dalla ricchezza di dettagli che vorreste mostrare nello scatto finale, dovrete scegliere di scattare fisicamente 3, 5 o 7 foto ad esposizione diversa. Per misurare la differenza di esposizione si usa il termine “EV” che sta per “Exposure Value” (valore di esposizione). È un valore che vi serve per capire la differenza tra un valore di esposizione ed un altro, e di solito potreste trovarlo scritto come “EV -1, EV-2” e così via. Ogni “EV” e numero annesso indica uno “stop” di differenza di valore esposimetrico, motivo per cui, ad esempio, se fate tre foto diverse per un singolo HDR è consigliabile farne una EV-3 (sottoesposta), una EV0 (esposizione mediana) e una EV+3 (sovraesposta).
Capisco che ora vi sentirete quasi ubriachi di nozioni, ma per fortuna c’è una funzione nelle vostre fotocamere che può risolvere questo “problema” degli scatti con esposizione diversa in un attimo, e si chiama bracketing.
In fotografia, il bracketing (che deriva anch’esso dall’inglese – “to bracket” significa “raggruppare”) è una modalità di ripresa che vi permette di catturare più immagine fotografiche dello stesso soggetto o scena variando automaticamente le impostazioni per ogni volta in cui premete lo scatto o eseguite una raffica. In sostanza, grazie al bracketing, potreste fare tre foto con esposizione diversa in un attimo. Molte fotocamere hanno un tasto dedicato al bracketing (di solito le mid-range o le professionali) e lo potete distinguere con la sigla “BKT”, diversamente, se non avete un tasto fisico dedicato, potrete sicuramente trovare la funzione all’interno del menù e personalizzarla a piacere (in tal caso vi consiglio di fare riferimento al manuale della vostra fotocamera per capire dove trovare questa impostazione).
Impostando il bracketing verrete subito messi di fronte ad una scelta: capire che tipo di valore di esposizione differenziale impostare. In sostanza, non basta attivare il bracketing, dovrete anche dire alla fotocamera in quali valori “muoversi”, cioè se scattare con uno scarto di 1EV, 2EV, 3EV e così…EVia (ok, la smetto).
Vedrete una sorta di indicatore ulteriore sopra o sotto l’esposimetro, indicatore che si dividerà in tre se avete optato per tre scatti, in cinque per i cinque scatti e così via. Una volta fatta questa operazione, vi basterà premere il tasto per lo stesso numero di volte in base al bracketing (es.: tre volte per tre scatti) oppure scattare direttamente una raffica. Il risultato saranno più foto con esposizioni diverse e, ovviamente, è normale in questo caso che una o più saranno sottoesposte o sovraesposte (anche bruciate). Va bene così, perché ogni dettaglio vi servirà dopo in fase di postproduzione. Anzi, facciamo una cosa se siete d’accordo, apro un nuovo capitolo dedicato alla postproduzione e riservato esclusivamente al merging manuale. Ok? Beh si, tanto fa lo stesso, ho già deciso di farlo.
Fotografia HDR: postproduzione di scatti con il metodo del merging manuale
Se siete arrivati fin qui, oltre ad essere interessati all’argomento (e mi fa piacere) è anche perché volete capire cosa farci con gli scatti ottenuti grazie al bracketing spiegato poco sopra. Ci sono tre metodi “principali” per effettuare un merging manuale attraverso vari software:
- con Lightroom e la modalità di unione HDR – facile ma con risultati scarsini
- con Photomatix tramite app “standalone” o come plugin di Lightroom – pro level per risultati spettacolari
- tramite Photoshop e il metodo “lighten” – siete dei folli
Merging con Lightroom
Siete arrivati al punto in cui avete importato le foto appena scattate su Lightroom, programma di Adobe e disponibile nel pacchetto Creative Cloud a pagamento mensile (che ha un’opzione per fotografi ad un prezzo molto vantaggioso). Pertanto, avrete 3, 5 oppure 7 files. Facciamo che per praticità mi ipotizzerò che abbiate scattato “solo” tre foto, tanto il metodo non cambia poi così tanto in base alla quantità degli scatti eseguiti.
- Selezionate le tre foto scattate con il metodo del bracketing e premete il tasto destro. Nella versione inglese avrete “photo merge” tra le opzioni, selezionate “HDR”. Nella versione italiana…davvero usate Lightroom in italiano? È uno scempioh!1! – scherzi a parte, avrete la voce “unione foto” e, anche in questo caso, “HDR”. Selezionatela
- A questo punto si aprirà una nuova finestra che vi mostra il progresso dell’unione dei vari file oltre alle opzioni varie nella parte laterale. Di queste potete selezionare “auto align” (o “auto allineamento”) per allineare al meglio gli scatti qualora ci fossero differenze, “auto settings” per abilitare le opzioni automatiche di correzione e poi potete passare a “deghost amount”, che in italiano dovrebbe sempre contenere la parola “Deghost” – perdonatemi ma uso Lightroom in inglese ed è fantastico così. Il deghosting serve a compensare i vostri possibili movimenti durante la fase di scatto, quindi il programma esegue una sorta di crop per allineare al meglio i vari file. A seconda del tipo di movimento potrebbe cambiare il livello di deghost (o di “ghosting”), pertanto, se non vi siete mossi per niente (siete sicuri?) potete selezionare “nessuno” (none), diversamente potete scegliere tra “basso” “medio” e “alto”. Se poi volete vedere cos’ha compensato Lightroom potete premere su “Show Deghost Overlay” (che ho paura a tradurre in italiano ma potrebbe essere qualcosa tipo “Mostra il sovrapponimento per correggere il ghosting” – credo). C’è poi l’ultima opzione “create stack” (crea “pila”), che prende le tre foto che avete organizzato nella vostra libreria e le “impila” in un unico file sul quale se effettuate un doppio clic riaprite i tre scatti divisi (a me non è mai servito, ma se volete fare ordine per bene potreste usarlo per non vedere più i tre file “orfani” in giro).
- Tutto chiaro? Ora premete su “merge” (in italiano “unisci”), attendete et voilà, il gioco è fatto!
- Ritoccate lo scatto a piacere scoprendo amabilmente che se ora alzate un po’ di più le ombre non andrete incontro a rumore insistente oppure, allo stesso modo, abbassando un po’ le alte luci farete grandi recuperi. Attenzione: non è questa la fase in cui aumentate la saturazione, il dettaglio e il contrasto a picco, anche perché è una fase che non arriverà mai, tranquilli.
Il merging con Lightroom è la soluzione più rapida e veloce, perché sfrutta le foto già contenute all’interno della vostra libreria e vi fa fare tutto senza uscire dal programma. Tuttavia, nel corso degli anni, ho avuto modo di scoprire che l’editing con Lightroom, per quanto concerne il merging, non è così ben strutturato o dettagliato, e offre realmente poche funzioni di personalizzazione (anche se per fortuna c’è il deghosting, molto importante).
Merging con Photomatix
Photomatix è un programma di HDRSoft (già il nome vi dice tutto), cioè un team di pazzi scatenati che ha sviluppato tanti anni fa un programma dedicato solo ed esclusivamente al merging manuale degli scatti per ottenere HDR incredibili. Ad oggi esistono tanti software simili che fanno quasi le stesse operazioni (tipo “Aurora HDR“), ma di fatto, tanti anni fa, era l’unico e io sono rimasto particolarmente affezionato a questo programma.
Photomatix, esattamente come tanti programmi simili, è a pagamento, ergo dovete avere esigenze importanti in fatto di fotografia HDR, altrimenti il gioco non vale la candela. All’epoca lo comprai per approfondire il metodo di merging e, nel corso del tempo, l’ho anche sfruttato a livello lavorativo. Il programma può funzionare sia in modalità “standalone” (cioè aprite fisicamente un’app) sia in modalità plugin (molto comoda – si “collega” a Lightroom e diventa un programma apribile direttamente dall’editor di Adobe mantenendo le foto nella libreria). Io lo uso in modalità plugin con Lightroom proprio perché comunque tutte le mie foto le importo lì, pertanto sono comodo a non dover esportare nulla, fa tutto Photomatix: esporta temporaneamente, unisce, applica le modifiche, re-importa in Lightroom in formato TIFF creando un quarto file (se avete fatto tre foto).
- selezionate le foto da unire se siete in Lightroom oppure trascinate le foto da unire nell’app se state usando la versione standalone;
- se siete in Lightroom, dopo aver selezionato le foto, andate su File -> Plug-in Extras -> Esporta in Photomatix Pro (se state usando l’app standalone potete saltare questo passaggio);
- Vi si aprirà una finestra dedicata alle impostazioni: anche qui potrete allineare le immagini, cropparle in caso di necessità, dire al programma se avete scattato con un treppiede o a mano libera, mostrare la finestra di deghosting, ridurre il rumore (e su quali tipi di immagini), ridurre l’aberrazione cromatica e, infine, decidere se re-importare automaticamente l’immagine finale in Lightroom (con che nomenclatura, in che formato e così via). Ovviamente tutte queste impostazioni si regolano sulla base delle vostre esigenze;
- A questo punto vi sarà chiesto di controllare se le differenze di esposizione in EV sono corrette (dipende dai singoli casi, imparerete bene col tempo e sperimentando);
- Arriverà poi il turno del deghosting, qualcosa di più avanzato rispetto a quello visto in Lightroom poco sopra che vi dà la possibilità di automatizzare il processo o di andare a selezionare una o più aree in cui siete sicuri di esservi mossi (lo vedrete in tempo reale);
- A questo punto si aprirà la vostra foto unita, fate attenzione: avete sulla destra dei preset rapidi tra cui alcuni orribili, mentre sulla sinistra potete regolare ogni singolo parametro a piacere e vedere i cambiamenti in tempo reale sull’immagine unita (in tempo reale in base ovviamente alla potenza del vostro computer);
- Il prossimo passo, dopo aver premuto “finish” vi permette di regolare ulteriormente contrasto, definizione e alcuni fattori aggiuntivi, prima di poter poi premere il tasto per importare nuovamente l’immagine in Lightroom (se usate il plugin) oppure esportare e salvare tutto (se usate l’app standalone);
- Se avete usato il plugin, ora tornerete su Lightroom con un TIFF abbastanza pesante che però potrete postprodurre sfruttando tutti i vari strumenti di Lightroom, e andando quindi a correggere ulteriori “fattori” determinanti nella vostra foto che ancora non vi piacciono;
Il merging con Photomatix è piuttosto professionale e richiede tempo ed esperienza per essere appreso al meglio. Si tratta di una soluzione di solito preferita dai professionisti che lavorano con la fotografia HDR e necessitano di questi strumenti per ottenere risultati avanzati. Certo, non è reato usare tutto questo se siete semplici amatori, ma di fatto si tratta di un programma a pagamento.
Merging con Photoshop
Tra le altre varie possibilità per unire degli scatti in HDR, c’è anche ovviamente Photoshop, che per alcuni tratti potrebbe assomigliare al concetto di Lightroom, anche se non è propriamente così. In sostanza, fino a qualche tempo fa l’unico metodo valido con questo programma era tramite il metodo fusione “Lighten” (in italiano “schiarisci“). Questo si tratta di un metodo folle perché è davvero completamente manuale e lo trovo privo di senso date le possibilità che abbiamo oggi. Si tratta in sostanza delle necessità di creare un nuovo progetto, aggiungere le tre o più immagini divise in vari livelli e cambiare il metodo di fusione con “Schiarisci” per poi andare a compensare manualmente ogni differenza, crop necessario, movimento e così via.
È un ovvio esempio di “come complicarsi la vita” secondo me, motivo per cui vi sconsiglio di usarlo. Quello che però posso dirvi, in aggiunta, è che nelle nuove versioni più recenti del noto programma di Adobe è possibile avere qualche opzione in più rispetto al merging standard con Lightroom, caratteristiche che si avvicinano un po’ al concetto di Photomatix. Se infatti usate Lightroom, selezionate le tre foto, fate tasto destro e selezionate “unisci in Photoshop HDR Pro“, si aprirà una finestra più “professionale” con molte più possibilità rispetto a Lightroom stesso. Questo metodo può ovviamente funzionare anche senza Lightroom, quindi aprendo Photoshop e andando a selezionare questa opzione dalla barra degli strumenti.
Resta comunque il metodo meno consigliato per quanto mi riguarda, perché in ogni caso risulta più complicato rispetto agli altri. Si tratta di una buona opzione per chi, ad esempio, ha la necessità di ottenere qualcosa in più dal punto di vista tecnico, ha la suite Creative Cloud e non vuole acquistare Photomatix o programmi analoghi (per mille ragioni). Certo è che, in questo caso, passando a Photoshop si arriva un po’ anche a quella che posso definire “arte di arrangiarsi”, perché le possibilità sono infinite, certo, ma il livello di difficoltà aumenta notevolmente.
Fotografia HDR: conclusioni
Quante cose avete imparato in questa guida? È sempre così: inizio con lo spiegarvi un metodo, poi faccio diecimila digressioni e finisco a riempirvi la testa di nozioni rischiando anche di confondersi. Tranquilli però, essendo tutto scritto potrete rileggerlo quante volte volete e, soprattutto, fare domande qui sotto qualora qualcosa non fosse chiaro. Avete fatto un bell’affare però: con una sola guida avete imparato cos’è l’HDR, cos’è la gamma dinamica, cos’è il bracketing, cos’è il merging e molto altro, e io non smetterò mai di fare digressioni. Meraviglioso.
Quando NON usare l’HDR
Prima di terminare la guida, mi sembra giusto dirvi in quali situazioni NON dovete usare la tecnica dell’HDR / non siete costretti a farlo:
- Al buio / in condizioni di scarsa luminosità: in queste situazioni, un HDR non migliorerà i vostri scatti rendendoli magicamente più luminosi, motivo per cui sarebbe d’uopo gestire meglio il tempo di esposizione, la sensibilità ISO fotografia, il diaframma fotografia e/o direttamente il triangolo esposizione;
- Situazioni in cui volete evidenziare un contrasto: se la vostra esigenza è di fare una foto al tramonto “standard”, cioè evidenziando solo il tramonto e non il resto, allora non servirà a nulla scattare una fotografia HDR;
- Foto sportive / dinamiche: dato che, come avrete capito (spero), nella fotografia HDR si scattano diverse foto da unire, non potrete ritrarre un movimento rapido e pensare di fare un HDR.
Se volete leggere altre folli e interessanti guide per imparare a fotografare o scoprire nuovi tecnicismi, potete sceglierne una qui sotto tra quelle che abbiamo scritto finora su FotoNerd. Grazie e arrivederc…ah no.
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