Finalmente sono riuscita ad andare a vedere al cinema “Freaks Out” un film italiano che bramavo da ormai un anno, da quando sono uscite le prime immagini promozionali e i primi teaser che mi hanno subito conquistato. Questa non è una recensione in anteprima (si vede anche dal giorno in cui la pubblichiamo rispetto alla data di uscita), ma la nuova pellicola di Gabriele Mainetti mi ha conquistato al punto che dovevo per forza scrivere qualcosa in merito. Da qui nasce l’articolo Freaks Out recensione, se ancora non avete visto il film lasciatevi convincere da quanto segue (senza spoiler).
“Freaks Out” è uno dei progetti cinematografici caduti vittima della pandemia di Covid-19 che ha costretto in molti casi a rinvii dell’uscita al cinema a tempi migliori. Girato nel 2018, i lavori di post-produzione hanno costretto un ritardo che va dal 2019 al 2020, con una data finale prevista per il 22 Ottobre 2020, che è stata modificata, per gli ovvi motivi che conosciamo, il 16 Dicembre 2020, fino ad arrivare al 28 Ottobre 2021. Il film però ha avuto modo lo scorso 8 Settembre di essere è presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il destino avverso, però, non lasciava intendere che “Freaks Out” non dovesse vedere la luce, ma piuttosto che potesse avere il giusto spazio per conquistare tutta la gloria che merita.
Freaks Out recensione: la visione di Gabriele Mainetti
“Freaks Out” è il secondo film diretto da Gabriele Mainetti, che è diventato famoso per essere il regista del cult cinematografico “Lo chiamavano Jeeg Robot” del 2015. Ancora una volta, Mainetti collabora con il soggettista Nicola Guaglianone, che si è occupato anche della sceneggiatura di entrambi i suoi film.
Due lungometraggi, due storie che riescono a stupire e intrattenere: Mainetti è quel professionista che ti fa credere che il cinema italiano possa essere di genere, che possa osare addentrandosi in storie particolari che assoceremmo alla cinematografia estera ma che possono essere un punto d’orgoglio per le produzioni nostrane. L’Italia è purtroppo abituata a un tipo di film standard, che è la commedia dalla facile risata o il dramma strappalacrime, passando tra opere dalla discutibile qualità che però ancora oggi vendono e fanno parlare di sé (siamo vicini al Natale, sapete benissimo a cosa mi riferisco…).
Gabriele Mainetti vede fuori dagli schemi e si allontana, quasi ai margini, per proporre pellicole in grado di far nascere dibattiti costruttivi e conquistare quella fetta di pubblico che dal cinema vuole qualcosa in più del semplice “staccare la spina”. Il suo è un cinema sperimentale, che indaga su suolo italiano dei generi che sembra si abbia quasi paura ad andare a toccare, ma che nelle sue mani vengono plasmati per dimostrare che l’impegno, la volontà e il dare fiducia a progetti così, non fanno altro che ripagare degli sforzi impiegati ed eccellere con risultati ottimi ed efficaci.
Freaks Out recensione: chi è il freak
Questa volta, il titolo del film non è in italiano bensì in inglese, dando allo stesso una dualità intrinseca: non solo “freaks out” significa “impazzire”, “andare fuori di testa”, ma fa anche riferimento alla figura del freak, ovvero quel tipico fenomeno da baraccone che si guadagnava da vivere nel XIX secolo sfoggiando in pubblico il proprio corpo. Un corpo anomalo, in grado di meravigliare e spaventare, che è stato sfruttato fino al XX secolo principalmente in Inghilterra e Stati Uniti. Il freak mi è molto a cuore perché risveglia gli studi di sociologia e pedagogia fatti al liceo, nonché il tema di diploma di una mia cara amica.
Motivo di studio, a tal proposito, fu un cortometraggio del 2009 che s’incastonò nel cuore senza più andarsene: “Il circo della farfalla” diretto da Joshua Weigel. L’attore principale è il noto attivista Nick Vujicic, affetto da una rara malattia, la tetramelia, che lo ha privato fin dalla nascita degli arti. Vestendo i panni del freak Will, ha intessuto una storia di forza e coraggio che è un tributo alla lotta delle minoranze per la conquista di un obiettivo, un’occasione per dare una svolta alla propria vita. I toni delicati e commoventi si ritrovano a tratti anche in “Freaks Out”, anche se qui, posso assicurarvi, si va ben oltre a una storia di riscatto.
Freaks Out recensione: il cast
Nel cast troviamo Claudio Santamaria, già protagonista di “Lo chiamavano Jeeg Robot” nei panni di Fulvio, l’uomo-bestia. Aurora Giovinazzo, un’attrice emergente dal grandissimo talento e che ha tenuto testa al ruolo complesso del suo personaggio, Matilde, una ragazzina in grado di produrre elettricità e che proprio per questo non può toccare nessuno. Pietro Castellitto, figlio del più noto Sergio e della scrittrice Mazzantini, torna al cinema dopo il ruolo di co-protagonista del film “La profezia dell’Armadillo” (Sì, è Secco), con un personaggio ancora più preponderante sulla scena. L’eccentrico Cencio, infatti, è un ragazzo albino che sa controllare gli insetti e che Castellitto riesce a rendere esuberante e divertente senza eccedere, molto teatrale nelle movenze ma perfetto per la caratterizzazione del personaggio stesso.
Giancarlo Martini interpreta il dolce Mario, affetto da nanismo e capace di manipolare il metallo. Giorgio Tirabassi è Israel, il proprietario ebreo del circo di cui tutti i personaggi citati fanno parte. Max Mazzotta riveste i panni di quello che probabilmente è il mio personaggio preferito del film: Il Gobbo. Lo è pur essendo un personaggio secondario, ma così tanto d’impatto da risultare subito indimenticabile. Infine Franz Rogowski porta in scena il villain Franz, il freak e pianista tedesco dalle straordinarie capacità di preveggenza.
Freaks Out recensione: trama
Mostri, reietti. Questi sono i protagonisti del film, che lentamente sfilano davanti al pubblico dentro e fuori la pellicola, mostrando le personali e particolari capacità. Solo una cosa vorrebbero: trovare il loro posto nel mondo. Ma il loro posto è solo lì, sotto il rassicurante scheletro di un tendone da circo, accompagnati dai sospiri e dalle risate di grandi e piccini, protetti dall’emarginazione che li marchia a fuoco sotto la luce del sole. Il loro danzare, saltare e divertire fa da scudo a ciò che si trova là fuori e che purtroppo, ben presto, porterà anche lì la sua devastazione.
Nel 1943 nessuno è davvero al sicuro e quando la bomba cade lascia sotto di sé nient’altro che polvere e disperazione. Il circo ha qui il ruolo di preservare l’innocenza e i sogni che la violenza della guerra spazzerà via proprio come quella stessa polvere caduta al suolo. Questo è il Circo Mezzapiotta: il luogo dove tutti possono essere sé stessi senza giudizio alcuno. È il luogo di confine tra reale e fantastico, in cui viene evidenziata la brutalità del mondo in contrapposizione al gusto agrodolce delle più belle favole.
Nel cuore del periodo che ha caratterizzato il dominio nazi-fascista in Italia non si è davvero liberi e la fortuna di sfuggire ai rastrellamenti e ai vagoni merce diventa sempre più rara. Lo sa bene il proprietario Israel, che partito da solo con il suo carro non fa ritorno all’accampamento, mettendo in allarme gli altri membri del circo. Quattro scapestrati che, ora in balia di loro stessi e senza più quella figura paterna a tenerli uniti, si muovono a passo più o meno incerto per capire quale sia la loro strada. C’è chi vorrà andare alla ricerca di Israel ma anche chi prenderà la via del Berlin Zircus scoprendo sulla propria pelle la concezione oscura di circo sotto la gestione di un freak tedesco.
Freaks Out recensione: pregi e difetti
In “Freaks Out” ogni elemento è posizionato alla perfezione, realizzando quella che è una linea temporale logica e coerente che lega il passato, il presente e il futuro. Lo studio dietro il realismo che caratterizza l’epoca storica realmente esistita è estremo e si amalgama molto bene con gli elementi fantastici che accompagnano la narrazione. Per questo è necessario analizzare la figura di Franz, che in qualche modo fa da perno a tutto questo: è un tedesco puro che, seppur appartenente a una categoria emarginata, crede fermamente nell’ideologia creata dal Fuhrer e nonostante perfino la sua stessa famiglia gli remi contro, proietta la sua intera esistenza verso la vittoria della guerra per conto del nazismo. Avendo poteri di preveggenza, Franz sa quanto il futuro sia ben lontano dai suoi intenti.
Con questo espediente la musica si trasforma e diventa, come già era stato per “Lo chiamavano Jeeg Robot”, un elemento chiave, quasi come se fosse la firma di Mainetti. Canzoni del futuro tornano nel passato e vengono riadattate e arrangiate per l’occasione, risultando sì fuori contesto, ma al tempo stesso incredibilmente idonee. C’è un forte legame tra vecchio e moderno anche nell’uso dei costumi, che a tratti sembrano ripercorrere una moda pop non pertinente agli anni della guerra ma che comunque calza nello specifico contesto. Lo si vede bene nello stile dei partigiani capitanati da Il Gobbo, che hanno uno stile eccentrico e identificativo che è accostato quasi più a una band che a un esercito ma che non cozza assolutamente con l’insieme.
Oltre alla recitazione brillante, nulla a livello tecnico è lasciato indietro: scenografie, montaggio e fotografia sono eccellenti, niente risulta finto all’occhio di chi osserva e ci si sente completamente immersi in ciò che si sta guardando. Perfino una scena di pochi secondi riesce a commuovere e a trasmettere come un pugno allo stomaco il dramma della deportazione degli ebrei.
“Freaks Out” è un film che merita di essere supportato al di là di difetti minimi, come il ritmo non sempre allo stesso livello in due ore e mezza, perché è un’opera che può realmente diventare rivoluzionaria e farsi conoscere oltre la nostra penisola. Mostra un pezzo di storia da un punto di vista diverso dal solito riuscendo comunque nell’intento di denunciare l’emarginazione, la guerra, la povertà e l’ingiustizia nel modo più diretto possibile, nonostante l’elemento fantastico. Tutti possono essere gli eroi del proprio tempo, nel proprio piccolo, anche l’individuo più inaspettato.
Freaks Out recensione: conclusioni
Dopo un mese dalla data di uscita, “Freaks Out” è ancora disponibile al cinema. Se volete farvi un regalo e al contempo supportare l’economia cinematografica tartassata dalla pandemia, la visione di questo film è il modo migliore per fare un favore a sé stessi e ai professionisti del settore. “Freaks Out” è una pellicola che rimane nel cuore, colpisce per la qualità e per il fatto che sia un prodotto italiano. Se ancora non conoscete Gabriele Mainetti, perché non recuperare anche il suo primo film “Lo chiamavano Jeeg Robot”?
Avete visto “Freaks Out”? Lo andrete a vedere al cinema? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti!
Recensione in breve
Freaks Out
Un film tutto italiano dal sapore internazionale. Uno scorcio di reale passato che si fonde con il fantastico in modo ponderato e geniale per raccontare l'emarginazione e quanto questa sia stata e sia ancora una piaga della nostra storia.
PRO
- Trama originale
- Recitazione brillante da parte di tutti gli attori
- Personaggi indimenticabili, sia buoni che cattivi
- Musiche conosciute che riescono a sorprendere
CONTRO
- Ritmo non sempre eccellente