Oggi è la Giornata mondiale della fotografia 2020, chiamata anche “World Photography Day”, oppure #WorldPhotographyDay se preferite. C’è chi pensa che le “giornate mondiali” in generale non servano a nulla, chi pensa che non si festeggia qualcosa (come una passione ad esempio) soltanto quel giorno ma dev’essere festeggiata tutti i giorni, c’è chi pensa che sia una gran cosa, chi riflette sull’importanza delle cose e così via. Ognuno di noi ha una propria opinione, su tutto, ed è giusto così. Per la giornata mondiale della fotografia 2020 però, noi di FotoNerd non potevamo rimanere fermi a guardare, perché il sito su cui siete ora si basa proprio su questo: la nostra incredibile passione per la fotografia. È importante, e vogliamo dimostrarvi quanto lo sia per tutto il team con un articolo unico, qualcosa che non si vede tutti i giorni.
Ogni giorno, qui su FotoNerd, leggete news, approfondimenti, guide, recensioni, anteprime e molto altro. Siamo nati da poco, ma siamo certi di avervi già dimostrato quanto sia importante per noi la fotografia e quanto vogliamo fare in modo che le informazioni arrivino a voi nel minor tempo possibile. Ecco perché ci sembrava giusto, in occasione di una ricorrenza importante come questa Giornata mondiale della fotografia 2020, creare qualcosa di unico, qualcosa che non troverete in altri siti. Non è la news che in tempo zero esce sui vari blog ovunque, non è la recensione che può potenzialmente essere vista da altre parti (con altri pensieri, ci mancherebbe), è un contenuto originale, quasi da chiamare “FotoNerd Original“. Il discorso è molto semplice: chiunque faccia fotografia, sia a livello amatoriale che professionista, racconta delle storie. Storie di ogni tipo, genere, tema e risultato.
Storie bellissime, storie molto tristi, storie che fanno riflettere, storie che emozionano. Grazie alla fotografia possiamo raccontare una storia senza parole, lasciando tutto allo sguardo e all’immaginazione. Il significato di una foto, ciò che per tutti è soggettivo, implicito, diverso, particolare, unico. Solo i nostri occhi, insieme alla nostra mente, riescono ad elaborare pensieri tanto uguali quanto diversi a riguardo. Così nasce questa idea comune a tutto il nostro team, per festeggiare insieme l’arte più bella di sempre, quella che trascina, invoglia, appassiona, commuove. Vogliamo fare in modo che possiate dare “un volto” emotivo ad ogni membro del nostro team. Vogliamo condividere i nostri racconti più personali sulla fotografia con voi. Ci sarebbero da scrivere libri e libri per ognuno di noi, lo sappiamo, abbiamo tantissimo da scrivere e da dire, ma cercheremo di “condensare” e far trapelare il meglio da ogni nostro racconto. Che siate in spiaggia o a casa, sedetevi comodi, prendete un drink e gustatevi il nostro omaggio alla fotografia. Buona giornata mondiale della fotografia 2020, a tutti voi che sognate di essere grandi fotografi oppure lo siete già. Questo è dedicato a voi, alla vostra passione più importante, a ciò che vi incoraggia, vi emoziona, vi dà la carica. Sappiamo che riusciremo a trasmettervi l’importanza della caparbietà nel non abbandonare mai ciò che vi rende felici davvero.
“Questo lo dedichiamo ai folli.
Agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane,
a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso.
Costoro non amano le regole, specie i regolamenti
e non hanno alcun rispetto per lo status quo.
Potete citarli, essere in disaccordo con loro;
potete glorificarli o denigrarli ma
l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli,
perché riescono a cambiare le cose,
perché fanno progredire l’umanità.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli
noi ne vediamo il genio;
perché solo coloro che sono abbastanza folli
da pensare di poter cambiare il mondo
lo cambiano davvero.” – Steve Jobs
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Ricky Delli Paoli, la fotografia per me
Estate 2008. Barba fatta e perfetta, il mio viso aveva una forma molto simile ad un sedere di un bambino, ma è sempre questo l’effetto che “mi faccio” senza barba.
Non sapevo nulla del mio futuro. Non avevo idea di cosa avrei potuto fare, di come mi sarei potuto comportare. Avevo 18 anni e una grande confusione in testa, che con il passare del tempo non mi ha mai abbandonato in realtà.
Quando ero ancora più piccolo ero solito usare una videocamera per riprendere le vacanze con i miei genitori, e una fotocamera a rullino per scattare qualche foto. Niente di che in realtà, non sono mai stato un grande appassionato di fotografia, soprattutto perché non mi sentivo adatto. Mi sembrava un mondo troppo difficile. Sentivo che non faceva per me.

Il 2008 però coincideva con un evento che reputo molto importante all’interno della mia vita: l’acquisto del mio primo Mac. Cosa può c’entrare con la fotografia l’acquisto di un Mac penserete voi…per me tantissimo, perché è stato grazie al mio primo Mac che ho scoperto iPhoto, poi (all’epoca) Apple Aperture, poi Photoshop, poi Lightroom. Sempre nel 2008, dopo aver “giochicchiato” con questi software, ho comprato la mia prima vera fotocamera, cioè quella “tutta per me”, che usavo solo io. Era una schifosissima bridge. Non ho mai amato le bridge in generale, posto il fatto che ne esistano alcune davvero ottime, ma quella era davvero terribile. L’unica cosa che la salvava era la modalità manuale, che mi ha permesso di capire cosa fossero tempo di esposizione, apertura del diaframma e sensibilità ISO. Non sapevo fare niente. Ero un cretino che faceva foto alle foglie e poi le caricava su iPhoto per giocare con i tasti e gli slider, senza sapere a cosa servissero o cosa facessero davvero. Una persona molto saggia una volta disse che non importa ciò che impari nella vita, tutto ti sarà utile. Aveva ragione, perché “giocando” iniziarono ad illuminarsi i miei occhi. Ero emozionato, divertito, interessato, curioso. Ho passato tutto l’inverno 2008 a studiare manuali, libri, appunti, pezzi di carta, post it, qualsiasi cosa potesse in qualche modo darmi nozioni sulla fotografia. Ad un anno di distanza dal Mac e dalla prima fotocamera bridge schifosissima (era proprio il nome del modello), acquistai una Nikon D90 in kit con ottica 18-200mm, consigliata da un amico. Ero incredibilmente eccitato. Corsi subito a casa a spacchettarla e a caricare la batteria, per poi uscire e iniziare a fare foto INCREDIBILI e sorprendenti: gattini, alberi, foglie, fiori, gattini, dettagli del ventilatore, gattini, alberi, foglie, cieli bruciati, gattini, insettini, foglie, gattini. Ero molto variegato e mi sentivo decisamente tronfio. Quando mettevo a fuoco i “baffetti” dei miei gattini mi sentivo realizzato. Si ragazzi, ci siamo passati tutti da questo punto, che poi evolve in “mi faccio un selfie allo specchio con la reflex così sembro figo“. Ho tanti scheletri nell’armadio, fidatevi.

Mio nonno era un grande fotografo “storico”: ha fotografato parti della seconda guerra mondiale, fatto le prime foto “aeree” (in tutti i sensi, non c’era il drone), raccontato la città in cui viveva, Somma Lombardo, e soprattutto aveva un negozio di fotografia. Lo conoscevano tutti. Ho quindi avuto l’onore di ricevere giudizi sulle mie prime foto direttamente da un vero esperto d’altri tempi, una persona che ne sapeva davvero. Questo fu un grande vantaggio per me, soprattutto per la composizione fotografica, cosa che mi insegnò davvero bene e per cui oggi sono malato. La mia storia continuò subito verso il percorso “lavorativo”: iniziai a fare foto nella mia città, durante eventi, manifestazioni e quant’altro.

Creai il mio primo sito web con Apple iWeb dove mettevo il primo “portfolio” e facevo quelle tristi presentazioni con musica di sottofondo per mostrare le foto ad amici e parenti (transizioni brutte incluse, mi raccomando). Iniziai ad essere chiamato per eventi, i primi matrimoni (che paura super!), comunioni, battesimi e poi in discoteca. La mia vera carriera lavorativa è partita proprio dalla discoteca: foto, video, insegui quella bottiglia, corri, datti da fare, occhio al flash, “come sarebbe che posso usare una carta da gioco per far rimbalzare la luce del flash?”, obiettivi luminosi, effetti della seconda tendina, post-produzione a razzo (e anche un po’ a ca**o a volte). Così, per due anni, lavorai davvero tanto e seriamente su questo aspetto (oltre alla mia vita lavorativa normale in ufficio – ah mi state dicendo che serve dormire? Adesso, a 30 anni, col razzo che potrei fare questa vita), tanto che iniziai a potermi permettere altri corpi macchina, altre ottiche, accessori vari, luci, flash, batterie super potenti, zaini di ogni tipo.

Correvo in giro ovunque, facevo foto sempre, non solo per lavoro ma anche per passione. Se tornavo alle 6 del mattino dalla discoteca, dopo aver lavorato, mi mettevo a post-produrre, dormivo qualche ora e uscivo ancora a fotografare per passione, per poi tornare a casa, cambiare zaino e tornare a lavorare ancora. So bene quanto io mi emozioni quando vedo una cascata (perché posso usare i filtri ND), una montagna, un cielo stellato, un bambino che gioca per strada, una bella luce, un bel palazzo da fotografare e molto altro. Oggi la fotografia per me è lavoro, siete “dentro” ad una mia creazione che mando (e mandiamo) avanti costantemente, con sangue, sacrifici, fatica e ore piccole.

Non mi sono mai pentito di tutto questo e non ho mai smesso di fotografare per passione, perché è la base di tutto: fare qualcosa che ti piace davvero e che ami per non lavorare davvero mai neanche un giorno e non sentire la fatica. Non è una vita facile, perché si ha a che fare con tanti problemi, ma poco importa, so bene che tipo di percorso spinoso io abbia scelto e quanto sia necessario soffrire per arrivare alla cima della montagna. Io sono qui, pronto, e continuo a giocare e divertirmi, mentre le altre persone pensano di potermi scalfire. Ecco cos’è per me la fotografia: il mio rifugio, la mia gioia, la mia passione, il mio modo di esprimermi e condividere, la possibilità di emozionarmi e far emozionare. È tutto. Scrittura, arte, creatività, colori, passione, amore, odio, forza, fatica, sacrificio, dedizione, istruzione. È tutto. È una vita di stenti, rinunce, sofferenze, sacrifici. E non la cambierei mai con nessun’altra al mondo.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Luca Dondossola, la fotografia per me
Scrivere del significato della fotografia in questa giornata mondiale 2020 a lei dedicata non è semplice: si corre il rischio di essere prolissi, danteschi nella messa in scena, prosatori di emozioni che non si possono raccontare semplicemente perché senza forma o suono. Si rischia addirittura di essere i Don Chisciotte di turno, intenti a combattere contro i mulini a vento nell’eterna diatriba che coinvolge chi afferma che la fotografia è arte contro chi, con forza e ostentata determinazione, sostiene il contrario.
Quando abbiamo deciso di scrivere un articolo sulla giornata mondiale della fotografia 2020 ne fui subito entusiasta, però poi iniziai a pensare a come trasmettervi la mia passione e a farmi venire i complessi mentali. Potrei semplicemente dirvi che la fotografia per me è tutto, una forma di comunicazione che è stata capace di cambiarmi dentro. Tuttavia mi piacerebbe raccontarvi una parte della mia storia, spiegarvi perché mi è stata d’aiuto in tanti momenti e come sia servita per abbattere alcune delle barriere che delimitavano la mia persona. Voglio raccontarvi perché la fotografia mi ha reso una persona migliore.
Molti pensano che io scatti da tanto tempo, ma non è affatto così: ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della fotografia all’incirca alla fine del 2015, lanciandomi con risultati scadenti nella street photography. Sono entrato a contatto con questo universo grazie alle fotografie di due mostri sacri, Sebastião Salgado e Steve McCurry, per poi iniziare a documentarmi sui grandi maestri che hanno scritto la storia e finendo di conseguenza sempre più immerso in un vortice che non mi avrebbe lasciato scampo. Subito dopo iniziai ad appassionarmi al videomaking: siccome facevo rap avevo bisogno di girare dei videoclip musicali dei miei pezzi. Decisi di provare a fare tutto da solo, acquistando una Nikon D3200. Passai un paio di anni a realizzare video, creai un gruppo con un altro videomaker della mia zona, fino a quando, verso la fine del 2017, ritornai ad avvicinarmi alla fotografia con l’acquisto di Panasonic Lumix GX80. Quel periodo coincise con la scoperta di Peter Lindbergh, un fotografo la cui visione mi ha cambiato totalmente. Decisi, dopo aver usato diversi modelli in quei due anni, di fare il grande passo e comprare una macchina fotografica full frame, più precisamente una Sony a7RIII, e lanciarmi definitivamente nel realizzare scatti. Ora, lungi da me fare un discorso sulle fotocamere: non me ne frega proprio nulla e sono convinto che non siano essenziali per fare una buona fotografia, semplicemente era per rendervi partecipi del mio cammino. Da questo momento in poi non citerò più nessuna fotocamera, in quanto sono convinto che altro non siano che asettici mezzi che troppo spesso plagiano la mente dei fotografi, convinti che senza 5 mila euro di attrezzatura non si possa fare una buona foto.
Dovete sapere che sono sempre stato una persona timida e, per quanto ora possa non sembrarlo, ho sempre faticato a tenere rapporti umani, ad imbastire discussioni, ad entrare e fare parte di un collettivo. Una volta un’amica mi disse che ero la persona più introversa e contemporaneamente estroversa che avesse mai conosciuto, e penso che questa definizione mi racconti perfettamente ancora oggi. Per quanto amassi parlare, mi veniva difficile anche solo proferire un saluto e, questo, mi stava uccidendo dentro. Iniziando a fare fotografia ritrattistica, però, ho dovuto cambiare totalmente perché altrimenti non sarei riuscito a fotografare: io volevo raccontare le persone che immortalavo con la mia macchina fotografia ma, per farlo, dovevo conoscerle, parlarci, entrare in sintonia con loro. Dovevo imparare ad essere loro amico, prima che il fotografo di turno. Dovevo essere la loro spalla, il loro fotografo, amante, amico, padre, fratello. Dovevo entrare in connessione con le espressioni per carpirne le emozioni, comprenderle nelle varie situazioni che si possono andare a creare su un set fotografico. Questo, ovviamente, da imbranato cronico delle relazioni umane, mi terrorizzava. Ad una certa però decisi di mettermi in gioco, di provarci e rischiare. Cosa avevo da perdere, alla fine? Cambiai marcia, iniziai a sforzarmi di comunicare e, seppur all’inizio i risultati furono scadenti e palesemente impacciati, piano piano iniziai a prendere confidenza con me stesso e con le persone che avevo davanti, iniziai a far crollare la barriera di silenzio e terrore che mi avvolgeva. Iniziai a distruggere le mura della mia fortezza. Sapete, sono convinto che per fare fotografia di ritratto serva spogliarsi davanti all’altra persona, mettersi in gioco, arrivare a dare una parte di quello che si è. Non si ottiene nulla senza dare qualcosa in cambio, e questa regola vale tanto nella vita quanto nella fotografia.
Grazie alla fotografia ho imparato a relazionarmi, conoscermi, comprendermi. Amarmi. Ho imparato che ricevere un “no” non è una tragedia, mentre i “si” possono essere fonte di ispirazione eterna. Ho imparato a conoscere l’odio, a farlo mio, a prendere l’amore e soppesarlo. La verità è che la fotografia è dannazione quanto salvezza, desiderio quanto ossessione, silenzio quanto rumore. La fotografia è tutto e, come disse un grande fotografo, è importante. Importantissima. La fotografia documenta, racconta, esprime, libera. La fotografia cambia le persone, i punti di vista, le ideologie. Il mondo. La fotografia è tanto giorno quanto notte e vive tra l’oro e oblio, per citare Argumentum e silentio di Paul Celan. La fotografia ci spoglia, ci rende fragili, mette in mostra le nostre più recondite debolezze e, nel farlo, le rende forti, uniche, le trasforma in bagliori luminosi che squarciano la notte più cupa e silenziosa. La fotografia è anima e, probabilmente, vita. Gioia, e tristezza. In fin dei conti, l’arte cos’altro è se non dolore, felicità, dannazione e salvezza? No, la fotografia per me non è semplicemente arte: è tutto. E da quel tutto da cui prende forma, ha formato me.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Silvia Zajac, la fotografia per me
Non ricordo nemmeno più la prima volta che ho visto una macchina fotografica, mio nonno possedeva una vecchia Canon analogica e il suo soggetto preferito ero io, la sua unica e adoratissima nipotina. Ho interi album (almeno una ventina e no, non scherzo) pieni di ricordi e di immagini di me che faccio il mio primo bagnetto, mangio per la prima volta un gelato, un frutto, la mia prima volta al mare, e un sacco di prime volte o seconde, terze, quarte e così via. Ho sempre adorato sfogliare questi ricordi e vedermi crescere, a volte con nostalgia di quando la vita era così semplice perché avevo mamma e papà che si occupavano completamente di me e la mia unica preoccupazione era “Che gioco farò oggi con la mia amichetta?”. Purtroppo, oggi non è una cosa molto frequente, abbiamo i telefoni pieni di immagini, a volte inutili, ma non stampiamo più nulla, siamo tutti preda dell’ansia di vivere quest’oggi così frenetico, senza fermarci mai. E colgo l’occasione di questa giornata mondiale della fotografia 2020 per esortarvi a stampare i vostri ricordi, anche quelli più buffi, sfogliandoli nel vostro domani vi scalderanno il cuore, vi strapperanno una risata o un sorriso imbarazzato del tipo “ma come accidenti mi vestiva mia mamma?”.
Tornando a me, crescendo ho iniziato a detestare lo stare davanti ad una macchina fotografica e ho iniziato a nascondermi dietro un corpo macchina, preferendo raccontare e mostrare, piuttosto che mettermi in mostra. Inizialmente un modo per proteggermi, per non mettermi davanti ai riflettori, è diventato un veicolo e opportunità di comunicazione. Ho iniziato a condividere questa passione con le persone che mi erano accanto e mi ha permesso di trovare amici con i quali inizialmente fare due chiacchiere commentando uno scatto, rapporti che poi si sono evoluti e sono diventati molto profondi, perché quello che ci legava all’inizio, la condivisione di una passione enorme, ci ha dato modo di scoprire milioni di altre piccole affinità che hanno creato amicizie e rapporti che sono parte di me e lo resteranno sempre.
La fotografia per me è sempre stato un modo di esprimere il caos che ho in testa, per mettere ordine e trovare pace davanti ad un paesaggio o, ancora meglio, davanti ad una fotografia notturna. Scattare e condividere il risultato è il modo perfetto per trasmettere agli altri i propri sentimenti, siamo abituati con i social network alla velocità di trasmissione di dati ed immagini, dove premere su “pubblica” o “condividi” è la maniera più rapida per dire “ehi, sono qui, hai visto che bello?”. A volte, proprio sui social network, la fotografia prende il posto di tanti silenzi che non siamo in grado di riempire o cerca di colmare i tanti vuoti che sentiamo dentro, trovando una panacea al nostro non sentirci abbastanza amati o rispettati. Ed ecco allora che spuntano foto in costume, foto di gattini, immagini di quello che abbiamo cucinato o che stiamo leggendo, come a dire, una volta di più, “Eccomi, sono qui! Sono bravo eh? Sono bello, vero?” la fotografia non dovrebbe essere questo, non è una forma di auto celebrazione o autoaffermazione, non è una ricerca di consensi. È l’immortalare e il trasmettere un ricordo, un’emozione, è il dirti “Guarda, sono in questo posto e ho visto questa scena, è bellissima, ho pensato che mostrartela potesse farti sentire come mi sento io”. Perché in fondo per me è sempre stata questa la fotografia, emozione.
Si, possiamo dirci banalità come “la fotografia è arte e quando fotografo io faccio arte” (e me lo hanno detto davvero, eh?) ma oltre al cercare di entrare nella storia con immagine iconiche che hanno segnato i nostri tempi, quello che conta, e che contraddistinguerà sempre una bella foto da una fotografia riuscita è questo, la capacità di trasmettere a chi la osserva un sentimento, di scatenare una riflessione, un ricordo, un’ emozione. E per me sarà sempre così, fotografia significa scrivere con la luce, ma per me ha sempre significato parlare con il cuore. Come quando una persona muta cerca di esprimersi ma non può farlo a parole e lascia che siano le sue mani a danzare nell’aria per dare voce ai suoi pensieri. O come il vostro animale domestico, che non ha bisogno di farvi “Bau” o “Miao” per farvi capire cosa desidera comunicare, gli basterà agitare la coda, strusciarsi contro i vostri piedi o corrervi incontro per mordervi i piedi come fa la mia tartaruga.
Nel nostro mondo siamo sommersi da parole, tante sono inutili, e con il tempo ci hanno resi incapaci di apprezzare il silenzio, la solitudine e la riflessione. Davanti a panorami strepitosi, momenti preziosissimi e molte foto ben riuscite io invece sono rimasta sempre così, con il cuore spalancato e gli occhi di una bambina che si dilatano ancora sul mondo, con la voglia e il bisogno di stupirmi e di riempire la mia anima di emozioni. Per questo motivo scatto, per trasmettere agli altri la complessità del mondo e la vasta gamma delle emozioni umane, per parlare dei miei soggetti o per esprimere quello che mi riempie il cuore, gli occhi e la mente. È la forma di comunicazione perfetta per chi è timido e non sempre trova le parole o è a suo agio nell’esternare l’amore che ha dentro e lo stupore del mondo che lo circonda. O almeno, ci prova! Ecco perché posso riassumere tutto quello che ho scritto con una semplice parola: la fotografia per me è amore, con quello che questo termine così spesso usato a sproposito comporta: è elevazione, espressione, comprensione, dialogo, emozioni e vita e il mio augurio per voi, in questa Giornata Mondiale della fotografia 2020 è che riesca a donare a voi tutta l’immensità che è riuscita a regalare a me.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Carlo Carlino, la fotografia per me
Descrivere le emozioni non è il mio forte: sono una persona che preferisce ascoltare piuttosto che essere ascoltato. Non è quindi semplice descrivere cosa rappresenta la fotografia per me in questa Giornata mondiale della fotografia 2020. Fin da bambino ho osservato mio padre scattare fotografie, ma non sono mai stato attratto da questa arte. Pensavo sempre: ma perché scatta foto a qualunque cosa? Non potrebbe scattare soltanto una foto ricordo e basta? Ero quasi infastidito dal vedere una persona intenta a cercare sempre il momento migliore per scattare una foto. Non ne capivo il senso. Diventando più grande ebbi meno “paura” di quello strumento che scattava foto, perché iniziai a capire che un senso ce l’aveva. Iniziai quindi a scattare delle foto come qualunque bambino, ovvero senza senso, giusto il per gusto di riguardarle subito sul piccolo monitor di una delle prime fotocamere digitali. Il mio spirito nerd iniziava già a farsi sentire, in quanto mi informavo insieme a mio padre su quale fosse la fotocamera migliore da acquistare per rimpiazzare quella vecchia. La fotografia non riuscì però ad entusiasmarmi, quindi per tantissimi anni non toccai una macchina fotografica. Praticamente ero tornato indietro: vedevo la fotografia come una cosa inutile. L’anno della svolta fu il 2015, quando senza un reale motivo decisi di sfruttare il mio regalo di Natale per chiedere a mio padre una reflex. Non so spiegare perché mi venne questa idea, non ricordo quale evento fece accendere la lampadina nella mia testa. Ricordo però le parole di mio padre che mi disse: “io la fotocamera te la compro, però tu mi devi promettere che la userai e non smetterai di fotografare dopo qualche settimana.” Ovviamente, preso soprattutto dalla voglia di ricevere un regalo, feci la mia promessa, senza sapere che l’avrei davvero mantenuta per tutta la vita. Ovviamente la scelta del modello da acquistare fu frutto di intense giornate passate a studiare caratteristiche di ogni modello, in modo da capire quale fosse la migliore. Ricordo ancora quando aprii la scatola per la prima volta e vidi lo strumento che mi avrebbe accompagnato per anni e che ancora conservo gelosamente.

Le mie prime fotografie erano inguardabili, come è giusto che sia, e mi spingevano sempre di più ad imparare. Come ogni ragazzo che si avvicina alla fotografia, non avevo uno stile preferito, non mi focalizzavo su determinate fotografie, bensì sperimentavo. Negli anni ho provato tanti stili e tanti generi fotografici, fin quando ho capito cosa mi piace veramente. Posso dire che la fotografia mi ha cambiato la vita, perché mi ha permesso di trovare una strada lavorativa che mi piace e che mi ha fatto imparare tantissimo. Grazie alla fotografia ho conosciuto persone fantastiche e sono cresciuto come persona e come professionista.
A questo punto vi starete chiedendo: ok, tutto molto carino, ma per te la fotografia cosa rappresenta? La fotografia è una parte della mia vita, una passione che mi ha dato la possibilità di diventare la persona che sono adesso e che sono sicuro mi renderà una persona migliore in futuro. Il bello della fotografia è che può essere vista in tantissimi modi. A me piace vederla come una forma d’arte che mi permette di disegnare attraverso la luce utilizzando solo nero, bianco e grigio; o per raccontare una storia attraverso delle immagini che resteranno “vive” per sempre. Ma la cosa più importante della fotografia, a mio parere, sono i ricordi. Spesso mi piace guardare vecchie foto e rivivere quei momenti che restano indelebili nella mia memoria e nelle immagini. Dopo tantissimi anni ho compreso perché mio padre scattava sempre tantissime foto. Avere la possibilità di guardare fotografie scattate più di 20 anni fa permette di vedere il passato con occhi diversi e ti fa riflettere su tantissime cose, belle o brutte che siano.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Gennaro Pileggi, la fotografia per me
Era venerdì quando il nostro caporedattore Ricky ha chiesto a tutto il team di FotoNerd di scrivere un pensiero personalissimo su “cosa sia la fotografia per noi” per festeggiare la Giornata mondiale della fotografia 2020. “Che meravigliosa idea” ho subito pensato, illudendomi che sarebbe stato semplice scrivere queste quattro righe per rendervi partecipe di cosa significhi davvero per me “la fotografia”. Niente di più sbagliato, perché sono stato ore ed ore a riflettere, arrivando alla conclusione che PER ME FOTOGRAFIA SIGNIFICA METTERSI IN GIOCO E RIDEFINIRE COMPLETAMENTE TE STESSO: sembrerò esagerato, ma vi spiego brevemente perché per me significa questo. Da sempre sono stato un amante della tecnologia a 360° ma avevo una sorta di riluttanza per la fotografia e tutto il suo universo, nonostante mio padre prima e mia sorella poi abbiano cercato in tutti i modi di farmi appassionare a questo mondo essendo loro dei veri patiti, sempre in cerca dello scatto perfetto. I miei pensieri più comuni erano “che senso ha buttare soldi ad acquistare una macchina fotografica quando per fare foto basta ed avanza uno smartphone?” insieme a “possibile che per fare una foto serva tutto questo tempo? Ma per favore, in due secondi col cellulare faccio una foto al volo giusto per ricordarmi che sono passato di qui”. Per me fotografare significava sprecare tempo prezioso che avrei potuto impiegare diversamente. Un giorno, spinto dalla curiosità di capire come funzionasse quell’arnese infernale che aveva mio padre (una meravigliosa Minolta a rullino, non ricordo il modello), decido di prenderla per provarla e voilà, ho rotto la tendina dell’otturatore (non chiedetemi come ho fatto perché non lo so ancora): l’ho preso come un segno del destino, dovevo lasciarci stare, la fotografia non era per me. Senza dilungarmi troppo, anni dopo ho avuto il piacere di approcciarmi nuovamente a questo meraviglioso mondo utilizzando la reflex di mia sorella ed è stato amore a primo scatto.
Via di corsa a studiare la macchina fotografica (ho letto il manuale tutto d’un fiato), a imparare il triangolo dell’esposizione e tutti i parametri essenziali per apprendere le basi della fotografia e così via. Ho acquistato, con uno dei miei primi stipendi, la mia tanto adorata EOS 80D e piano piano ho costruito il mio zainetto fatto di obiettivi ed accessori vari perché si, l’avevo finalmente capito: non era tempo perso quello passato ad aspettare che si creassero le condizioni perfette per la tipologia di scatto che avevo in mente, era un regalo che mi stavo facendo. Perché avevo la fortuna di osservare particolari di quel luogo che altrimenti mi sarei perso, perché ho potuto ascoltare dialoghi tra abitanti di quella determinata zona ai quali prima non prestavo nemmeno attenzione, perché ho potuto osservare dettagli di un particolare ecosistema che non avrei più rivisto, perché si entra così tanto in simbiosi con il luogo che si sta visitando che si arriva a sentire odori e profumi che a ripensarci dopo tempo ti viene la pelle d’oca, perché ho potuto scorgere dettagli del carattere di una persona vedendo come si poneva di fronte l’obiettivo. Ecco, per questo ho detto che per me la fotografia significa mettersi in gioco e ridefinirsi completamente: ho cambiato il mio modo di essere e di affrontare le cose e tutto questo grazie a quell’arnese che ora non è poi così tanto infernale anzi, è l’esatto opposto. Grazie fotografia e buona giornata mondiale della fotografia 2020 a tutti.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Edoardo Castriotti, la fotografia per me
“Cos’è la fotografia per te?” se qualcuno dovesse pormi questa domanda devo ammettere che mi troverei abbastanza spiazzato, questo perché non mi sono mai fermato a pensarci. Spesso facciamo le cose con il pilota automatico e raramente ci fermiamo, cercando di ragionare su quali sono le vere motivazioni che ci spingono a perseguire un interesse, le passioni e le ambizioni che alimentano la volontà di fare qualcosa. Ho cominciato a fotografare circa 5 anni fa, nel 2015, rubando in ogni occasione possibile la macchina fotografica di mia mamma, una analogica Canon 1000F a rullino con una lente veramente orribile. Come la maggior parte delle persone le primissime foto si “limitavano” a rappresentare qualsiasi cosa mi capitasse a tiro: fiori, animali, tramonti, ritratti rubati e non; foto che ho fatto sviluppare e che conservo ancora, tanto brutte quanto importanti e preziose a livello sentimentale. Correva il lontano 2016 quando entrai in possesso della mia prima vera macchina fotografica, una fiammante Nikon D7000 che mi ha accompagnato nei primi periodi di sperimentazione, nei primi lavori e sopratutto mi ha regalato le prime soddisfazioni. Non sono nemmeno da dimenticare i primi (e gli ultimi) desaturati parziali e scatti in bianco e nero alle panchine vuote… che artista!
Da allora ho sempre scattato, alcuni mesi tanto, altri poco, ma la passione per la fotografia non è mai svanita, si è anzi rinforzata nel momento in cui ho realizzato di poterla unire al mio amore per la musica facendo fotografie a concerti di amici. In questo breve riassunto della mia illustre carriera di fotografo della mutua ho tralasciato la cosa più importante e più preziosa dal mio punto di vista, ovvero i momenti e i rapporti nati grazie alla fotografia. Certo, fotografare mi piace e mi regala tante soddisfazioni, ma è quasi dispregiativo limitarsi a questo: facendo un passo indietro e guardando la mia passione per questa arte con una visuale più ampia è evidente come la cosa più bella e piacevole siano le persone con cui condivido quello che faccio. Erano circa due anni che scattavo per conto mio solo soletto, quando una sera mi sono imbattuto nel profilo Instagram di un losco individuo, che a cui daremo un nome inventato per proteggere la sua privacy. Dopo qualche scambio di messaggi con questo tale Paolo Delli Ricky sono stato invitato ad un incontro del Pixel FotoClub, un club di appassionati della provincia di Varese, dove finalmente ho incontrato persone che condividono la mia stessa passione e che hanno reso veramente prezioso questo hobby. Devo a loro tanti momenti di puro divertimento, di crescita fotografica e anche personale: sono loro che a fine serata quando sei deluso dalle foto che scatti ti spronano a non mollare e a fare di meglio, e sono sempre loro che mi hanno accolto nel loro gruppo regalandomi delle esperienze memorabili. Se quindi dovessi dire cosa rappresenta per me la fotografia, la risposta sarebbe certamente un hobby che diverte e regala soddisfazioni, ma sopratutto un percorso ricco di bei momenti, condivisi con persone fantastiche.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Nico Lanubile, la fotografia per me
Oggi è la giornata mondiale della fotografia 2020, ma per parlarvi di me dobbiamo fare un salto indietro nel tempo fino al 2010/2011, anno in cui io e miei compagni di classe decidiamo di regalare una reflex ad un nostro amico. Contentissimo del nostro regalo, comincia ad usarla, ma purtroppo, poco dopo, il suo interesse per quella fotocamera si affievolisce. Un giorno decide di portare la sua reflex a scuola ed io, incuriosito, gli chiedo di provarla ma soprattutto di spiegarmi come funziona: quello è stato il momento in cui ho capito che la fotografia avrebbe fatto parte della mia vita. Da quel momento ho cominciato a passare intere giornate a sperimentare, a provare ad ottenere scatti che mi piacessero, e ovviamente a non dormire per seguire i pochi (ai tempi) tutorial online.
Più andavo avanti più avevo bisogno di sperimentare, e uno dei campi in cui ho avuto la possibilità di inserirmi è stato quello degli eventi (concerti, discoteche, gare di karatè…ecc). Potevo racchiudere in uno scatto un’intera giornata, potevo aggiungere o togliere luce per dare più drammaticità a quel momento, potevo decidere quali colori sarebbero stati fondamentali per quella foto; insomma, le possibilità erano infinite, senza contare poi tutta la parte “nerd” riguardante la tecnologia che si cela dietro al funzionamento di una reflex, dallo stabilizzatore d’immagine ai punti di messa a fuoco, nozioni che mi hanno da subito conquistato. Ci sono poche cose nella mia vita che mi fanno sentire carico, pieno di energia, e quando prendo in mano la mia macchina fotografica è uno di quei momenti: sento che sono motivato a fare un passo in più per portarmi a casa lo scatto che volevo, sento che sarei capace di stare ore ed ore ad aspettare il momento giusto per premere il “grilletto” solo per avere la foto che desideravo. Per dirla brevemente, la fotografia è parte di me, mi identifico in essa ma soprattutto mi fa stare bene.
Per me la fotografia è come un super potere: ti permette di catturare una frazione, un lasso di tempo, intere giornate in un’unica immagine. Grazie ad una fotografia possiamo tramettere un messaggio, possiamo far trapelare delle emozioni, raccontare una storia, far cambiare opinione ad una persona, mostrare la verità o aggiungere dettagli irreali alla nostra realtà. La fotografia è un super potere che deve essere usato con responsabilità e coscienza, con il quale possiamo divertirci e collezionare ricordi che rimarranno con noi per sempre. Questa è la fotografia, per me.
Giornata mondiale della fotografia 2020 : Marco Champier, la fotografia per me
Premetto che non sono un fotografo professionista, anzi, sono solo uno a cui piacciono le fotografie, sia guardarle che farle. Il che non mi rende un fotografo, sono quello che può essere definito un “cagnaccio che gira con una macchina fotografica che qualcun altro userebbe meglio”.
Eppure la fotografia mi appassiona per duemila motivi che porterebbero via un sacco di tempo per essere elencati e alla fine son sicuro che non concluderei niente.
Per me la fotografia non è la realtà per come la consideriamo noi, ma è lo strumento migliore che abbiamo per far capire agli altri cosa vediamo e come lo vediamo. È offrire agli altri il nostro punto di vista e delegare loro interpretarlo e completarlo. Perché per me la singola fotografia, intesa come scatto, non è mai completa: il fotografo decide da che angolazione riprendere quel determinato frammento del flusso del tempo, decide cosa deve contenere quel rettangolo e cosa deve lasciare fuori, perché la fotografia non è mai la realtà per come la intendiamo noi. Guardando una fotografia, mi chiedo sempre cosa c’era oltre quel bordo che delimita l’immagine, cosa è successo subito prima e cosa subito dopo. È questo che amo della fotografia, la possibilità di riempire con la mia personalissima sensibilità e visione del mondo, quegli immensi spazi vuoti tutto intorno, davanti e dietro nel tempo. Guardando “V-J Day in Times Square“, di Alfred Eisenstaedt, la famosa fotografia del marinaio che bacia l’infermiera a Times Square per festeggiare la fine della Seconda Guerra Mondiale, mi sono sempre chiesto se prima del bacio si conoscessero già o è stato il gesto di un momento; come ha reagito la gente intorno, se si stesse rendendo conto di stare guardando un momento che sarebbe passato alla storia; se l’infermiera, dopo lo scatto, abbia schiaffeggiato il marinaio o gli abbia di nuovo buttato le braccia al collo.
Questa è una mia foto: un pianista suona, totalmente trasportato dalla musica, c’è solo lui in quel momento, luci e ombre. Gli spettatori sono seminascosti dietro un angolo, quasi a non voler disturbarlo durante l’esecuzione.
La fotografia, per me, è sia mistero che rivelazione. È la sagace ironia di Eliott Erwitt che costruisce storie con uno scatto, posato o spontaneo poco importa. Mi fa ridere pensare a quanti scatti abbia dovuto fare Erwitt e la sua fatica per istruire il bambino francese, sulla bicicletta con il nonno, a girarsi in corrispondenza del sasso piazzato per terra, per scattare un’altra foto entrata nella storia, ossia “Provence, France, 1995“. E se non noti il sasso, quella è una fotografia assolutamente perfetta, spontanea, come se Erwitt non ci fosse, ma ci fossimo noi a guardare quel lungo viale alberato in Francia.
Questa è una mia foto: una ragazza in libreria si ritaglia un po’ di tempo per sé, mentre Milano e la realtà di tutti i giorni sono sbiaditi, dietro un vetro e niente e nessuno può disturbarla, nel suo “piccolo mondo”.
Poi, per me che su FotoNerd.it mi occupo di cinema, non posso non parlare della “fotografia cinematografica”, intesa proprio come “scrivere con la luce”. Quella cosa spesso completamente ignorata, che ha la stessa importanza e valenza della regia, della sceneggiatura, della recitazione, della scenografia, della colonna sonora. Uno spettatore qualsiasi, guardando un film, la fotografia non la nota, eppure è proprio quella che gli entra sottopelle e caratterizza le immagini più di tutto il resto, ancora prima di “capire la trama” la fotografia di un film ci proietta inconsciamente nel mood e nel senso stesso del film o di una particolare scena. Un esempio perfetto, per capire la magia e l’importanza della fotografia nel cinema, è Barry Lindon di Stanley Kubrik. Il povero direttore della fotografia, John Alcott, ha dovuto fare i salti mortali perché Kubrik, pignolo come pochi, per dare più realismo al film, ha voluto girare solo con le fonti luminose esistenti all’epoca, il 1790 circa: candele, lampade a olio e luce naturale e diurna. Alcott, per accontentarlo, è ricorso a degli obiettivi speciali della Zeiss costruiti per la NASA: dei 50 mm Zeiss Planar f/0.7. Per me la fotografia è tutto questo e molto altro, volendo riassumere, direi che per me la fotografia è semplice meraviglia.