Il caso Minamata in offerta
Una pellicola per appassionati di fotografia, ma non solo. Racconta la storia di un reportage di William Eugene Smith, fotografo documentarista statunitense specializzato in immagini di guerra. Questa è la nostra personale recensione de Il caso Minamata, il nuovo biopic targato Sky Original.
Il caso Minamata recensione: la fotografia come mezzo di denuncia
Siamo nel 1971 e William Eugene Smith, interpretato da un magistrale Jhonny Depp, è un fotografo documentarista statunitense apparentemente in declino. Dopo una vita dedicata alla fotografia di guerra e reportage, Eugene è isolato nel suo appartamento di New York dove pensa di smettere con la sua passione. L’incontro con Aileen Mioko (Minami Hinase), sua futura moglie, ravviva la scintilla che è in lui, le sue foto sono necessarie per documentare e denunciare un caso di inquinamento ambientale in Giappone.
La malattia di Minamata
La malattia di Minamata è una sindrome neurologica causata da intossicazione acuta da mercurio ed è il fulcro di questo racconto. Tra il 1932 e il 1968 la Chisso Corporation scaricò alti livelli di mercurio attraverso le acque reflue della sua fabbrica a Minamata, città della Prefettura di Kumamoto in Giappone. Questo composto chimico si accumulò nei molluschi, crostacei e pesci della baia, entrando nella catena alimentare degli abitanti del posto. Naturalmente gli abitanti subirono avvelenamento da mercurio senza saperlo.
I sintomi includono atassia, parestesie alle mani e ai piedi, generale debolezza dei muscoli, indebolimento del campo visivo, danni all’udito e difficoltà nell’articolare le parole. In casi estremi porta a disordine mentale, paralisi, coma e morte nel giro di alcune settimane dai primi sintomi. Una forma congenita della malattia può essere trasmessa al feto durante la gravidanza. Solo nel 2001 circa 2.265 vittime sono state ufficialmente riconosciute (1.784 delle quali sono morte), e più di 10.000 hanno ricevuto risarcimenti dalla Chisso. Le cause e le richieste di risarcimento continuano tuttora.
Il caso Minamata recensione: la missione di W. Eugene Smith
Come anticipato, Eugene è un fotografo documentarista in declino che affonda i suoi pensieri nell’alcol in una vita di solitudine. Solo l’arrivo di Aileen riaccende la passione in lui, motivandolo per questo reportage. Inizialmente non è convinto di tornare al lavoro, ma dopo aver letto il dossier sul disastro ambientale di Minamata cambia totalmente idea. Si presenta da Robert Hayes (Bill Nighy), direttore di Life, e quasi lo obbliga a dargli questo incarico, questa ultima missione. Robert Hayse non è convinto, ma sa che il talento e le foto di Eugene possono dare il giusto risalto a questa storia. “Il reportage sarà una notizia quanto la notizia stessa” queste parole di Eugene, tratte dal film, descrivono a pieno la potenza che può avere la fotografia in un contesto come questo. Naturalmente Eugene riceve l’incarico e parte insieme ad Aileen verso Minamata. Una volta arrivato il lavoro non è semplice, gli abitanti del luogo sono diffidenti e riservati e vedono questa malattia come una cosa di cui vergognarsi.
La prima famiglia che li ospita si rifiuta di far fotografare la figlia molto malata in quanto non vogliono esporsi in prima persona, vogliono solo vivere nell’anonimato. In un primo momento il protagonista si abbatte e i suoi demoni tornano, portandolo ad ubriacarsi e a regalare la sua macchina fotografica ad un ragazzo malato appena conosciuto. Proprio a questo punto cambia qualcosa, perché Eugene si rende conto di quanto la comunità abbia bisogno di lui e delle sue fotografie. Gli abitanti del villaggio dove viene ospitato mettono a disposizione tutte le loro macchine fotografiche, ma inaspettatamente entra dalla porta il ragazzo a cui il fotografo aveva regalato la sua, restituendo la stessa. Questo episodio dona nuova vita a Eugene che i successivi giorni si intrufola insieme ad Aileen all’interno di un ospedale molto controllato dalle forze dell’ordine per fotografare i malati ricoverati all’interno.
A questo punto il direttore della Chisso (Jun Kunimura) inizia rendersi conto di quello che sta accadendo e prova a corrompere il fotografo, offrendogli una grossa somma in cambio dei negativi e dell’interruzione del suo reportage. Eugene rifiuta categoricamente e questo episodio lo motiva ancora di più ad approfondire la vicenda. Subito si mette all’opera per sviluppare tutte le foto fatte fino a questo momento, ma qualcosa di imprevisto sta per accadere. Un’esplosione interrompe un momento di intimità tra Eugene e Aileen, è la sua camera oscura che è stata data alle fiamme, tutto il lavoro fatto fino ad ora è perso. Il fotografo è distrutto e dopo aver affogato i suoi dispiaceri nell’alcol, chiama Robert Hayes per avvisarlo che avrebbe abbandonato il progetto. Il direttore non è per niente contento di questa notizia, la consegna è vicina e prova in tutti i modi a convincere Eugene a continuare.
Il caso Minamata recensione: la svolta
Ed è proprio a questo punto che gli abitanti si rendono conto che per vincere questa lotta è necessario schierarsi e mettersi in prima linea. I muri che inizialmente separavano il fotografo dai locali si abbattono, permettendogli finalmente di scattare in piena libertà le foto necessarie a questo reportage. Ormai totalmente coinvolto emotivamente, Eugene segue i manifestanti fin sotto la sede della Chisso dove verrà malmenato e lasciato quasi ceco da un occhio, ma lui a questo punto non si fa abbattere. Durante quella stessa manifestazione gli abitanti della zona riescono a parlare con il presidente della Chisso, ma nonostante i racconti strazianti decide di non risarcire le vittime.
Sembra che tutto sia perduto e che ormai non ci sia più nulla da fare., ma poi entra in gioco la famiglia incontrata all’inizio film, che decide di far fotografare la figlia malata in uno dei suoi momenti più intimi e privati. Così Eugene scatta una delle sue foto più iconiche, il bagno di Tomoko diventa a tutti gli effetti la foto simbolo di questo reportage. Il fotografo riesce a consegnare tutte le foto per tempo anche grazie ad un pentito che gli riconsegna i negativi dopo aver saputo che Eugene aveva fotografato la madre con rispetto. Grazie a questo reportage pubblicato su Life il caso divenne mondiale e costrinse la Chisso a risarcire tutte le vittime di questo disastro ambientale.
Il caso Minamata recensione: un film per fotografi e attivisti
Il titolo originale del film è “Minamata” ed è tratto dall’omonimo libro scritto proprio da William Eugene Smith e Aileen Mioko. La pellicola è diretta da Andrew Levitas e prodotta da Jhonny Depp che interpreta anche il fotografo protagonista. Nel complesso il film è ben fatto, convincente ed emozionante. L’interpretazione di Jhonny Depp è notevole e più il film avanza, più ci innamoriamo del suo personaggio nonostante il carattere apparentemente solitario e scontroso. È un avvenimento relativamente distante da noi sia in termini di tempo che di distanza, ma ci troviamo subito coinvolti emotivamente. La rabbia che si prova nei confronti di una società marcia dove i colpevoli spesso non pagano, si alterna alla speranza che la fotografia di reportage possa portare alla luce certe ingiustizie.
È una pellicola che ci ricorda quanto sia importante combattere in maniera attiva per far valere i propri diritti e di quanto sia importante documentare. La fotografia assume un ruolo centrale in tutto questo, senza di essa nessuno avrebbe mai visto il bagno di Tomoko e probabilmente questa ingiustizia non sarebbe mai finita. Soprattutto la fotografia non scompare, tutti gli scatti di questo reportage saranno sempre lì a ricordarci quello che è accaduto. Proprio per questo durante i titoli di coda scorrono diverse foto di disastri ambientali anche più recenti, disastri che qualcuno è riuscito a documentare.
Una frase che sentiamo verso la fine del film descrive in modo abbastanza preciso ciò che questo tipo di fotografia genera nell’anima di un fotografo.
“I nativi americani credevano che una fotografia portasse via un pezzo dell’anima del soggetto, ma quello che non ti viene detto da nessuno è che può portare via anche un pezzo dell’anima del fotografo.”
Pensiamo che questa frase descriva molto bene quello che si prova facendo fotografia di reportage, il coinvolgimento emotivo che può derivarne. Rappresenta proprio quel punto di incontro tra attivismo e fotografia di cui parlavamo prima.
Storytelling e fotografia
Essendo un film tratto da una storia vera, ha poco senso commentare la trama, posso però commentare come la stessa sia stata sviluppata. Il film ha una durata di circa 2 ore e per tutto il tempo mi ha tenuto incollato allo schermo nonostante non sia proprio un film d’azione. Non mancano scene che potrei definire “lente”, ma la bellezza estetica e la cura della fotografia me le ha fatte comunque apprezzare a pieno. Fotografia a cura di Benoît Delhomme che spesso regala scene dove l’equilibrio è totale e quasi ricordano davvero uno scatto fotografico d’autore più che un film. Oltre a questo ci sono delle scene che hanno lo scopo di imprimere nella nostra memoria quello che vediamo e sono sempre proposte in bianco e nero, come se fossero uscite dal reportage. Ho apprezzato particolarmente l’uso della luce davvero magistrale, soprattutto nelle scene notturne. Il color grading e totalmente coerente anche se dinamico in tutto il film e in base all’emozione che una scena deve trasmettere è stato fatto un utilizzo dei colori differente. Ad esempio, l’ambiente molto freddo che troviamo durante il colloquio tra il presidente della Chisso e gli abitanti, si contrappone al rosso vivido che invece ritroviamo nelle scene cariche di tensione in camera oscura.
Colonna sonora
La colonna sonora, a cura di Ryuichi Sakamoto, è stata scritta appositamente per il film e si sente. Musiche che non possono lasciare indifferenti e puntano al lato più emotivo dello spettatore. Una colonna sonora mai invadente e sempre adatta a quello che stiamo guardando. Non stiamo parlando di un film basato solo sulla musica, ma dobbiamo proprio dire che in questo caso ha una parte fondamentale.
Il caso Minamata recensione: conclusioni
Personalmente, consiglio la visione di questo film a chiunque, ma soprattutto agli appassionati di fotografia. Ci racconta una storia accaduta veramente, romanzandola al punto giusto e senza mai scadere nel banale. Ci emoziona, ci fa arrabbiare, ci dà speranza e soprattutto smuove qualcosa in noi. A mio parere, questo film lancia anche un messaggio di lotta per far valere i nostri diritti, se calpestati. Se la nostra recensione de Il caso Minamata vi ha convinto, trovate il film su NowTV, il servizio di streaming di Sky, oppure potete acquistare il fim cliccando qui sotto:
Recensione in breve
Il caso Minamata
Un biopic Sky Original che ci racconta il disastro ambientale di Minamata dal punto di vista delle fotografia di reportage e di tutte le persone alla quale dà voce.
PRO
- Coinvolgente
- Fotografia curata
- Colonna sonora perfetta
CONTRO
- Fotografia a tratti monotona, anche se ben curata