Il mondo dei formati fotografici è vasto e pieno di terrori, ma non preoccupatevi: ci siamo qui noi di FotoNerd pronti a spiegarvi per filo e per segno come funzionano. Che si tratti di fotografie, di immagini su Internet o lavori di grafica, è impossibile che non abbiate mai sentito questa parola: JPEG. I fotografi esperti sanno benissimo di cosa stiamo parlando, mentre quelli alle prime armi potrebbero avere difficoltà a capire cosa significhino queste quattro lettere. Andiamo quindi a scoprire in questa guida che cosa è nello specifico un JPEG, come funziona, quando è meglio utilizzarlo e perché è diventato il formato di compressione di immagine più utilizzato al mondo.
JPEG: cos’è e come funziona
JPEG è l’acronimo di Joint Photographic Expert Group, un’organizzazione di esperti ISO/CCITT che ha delineato il primo standard internazionale di compressione dell’immagine digitale a tono continuo, sia in scala di grigio che di colori. Una curiosità che molti non conoscono, è che JPEG è semplicemente il metodo con cui viene compresso il file, mentre il formato vero e proprio si chiama JFIF (Jpeg File Interchange Format), ma solitamente viene utilizzato il primo acronimo per definire la tipologia di formato e quindi è entrato nel vocabolario comune chiamarlo in questo modo per facilitarne l’identificazione.
L’algoritmo di compressione
L’algoritmo utilizzato per comprimere i file JPEG si chiama compressione dati lossy, che indica, nel campo dell’informatica, l’individuazione di un gruppo di algoritmi di compressione dati che portano alla perdita di alcune parti dell’informazione originale a favore delle dimensioni. Questo processo crea un file inferiore a livello qualitativo rispetto l’originale, ma abbastanza simile da non comportare la perdita di informazioni irrinunciabili che ne comprometterebbero la qualità. L’algoritmo di sviluppo, infatti, lavora andando a comprimere l’immagine eliminando esclusivamente le informazioni superflue e poco rilevanti, senza andare a toccare quelle essenziali. Una volta compresso il file con questo metodo, non sarà più possibile recuperare le informazioni iniziali se non dal file originale, ed è buona norma non apportare ulteriori processi di compressione, perché andrebbero a modificare ulteriormente un file già lavorato, compromettendone maggiormente la qualità e rendendolo, in certi casi, completamente inutilizzabile.
Per rappresentare lo spettro dei colori, vengono utilizzati 32 bit: 8 per le gradazioni di grigio e 24 per le varie tonalità: 8 bit per il verde, 8 bit per il rosso e 8 bit per il blu.
Il JPEG è diventato quindi il formato di immagine più utilizzato al mondo perché riesce a combinare perfettamente una qualità di tutto rispetto a dimensioni contenute, che possono essere usate in svariati contesti, tra cui Internet, lo streaming media, la compressione di immagini e tutto quello che riguarda il mondo della multimedialità. E’ sconsigliabile utilizzarlo per il trattamento di immagini vettoriali o contenenti del testo, e non supporta le trasparenze.
Esiste anche un formato di denominato JPEG selettivo, che permette di esportare un’immagine con una compressione diversa che viene applicata alle varie parti che compongono il file.
Il processo di conversione
Il JPEG opera praticamente in 4 passaggi essenziali per trasformare un’immagine originale.
- Rappresentazione in ambito frequenziale tramite DCT (trasformata discreta del coseno), ossia la più diffusa funzione che provvede alla compressione spaziale, capace di rilevare le variazioni di informazione tra le aree.
- Quantizzazione effettuata con opportune matrici che danno maggior rilevanza ai coefficienti di ordine più basso, poiché sono più importanti ai fini della sintesi dell’immagine, dato che il sistema visivo umano percepisce meglio le basse frequenze.
- Codifica entropica, ossia uno schema di compressione dei dati senza perdita di informazione che è indipendente dalle specifiche del mezzo utilizzato, e di eliminazione delle ridondanze tramite un processo di codifica.
La qualità di compressione che si può raggiungere con il JPEG è variabile, e dipende sia dal processo che viene attuato sul file sia dalla qualità di partenza. Si può ottenere un ottima immagine anche con una scala di 15:1 senza alterare visibilmente la risoluzione.
Qui sotto potrete notare degli esempi di compressione JPEG di un’immagine esportata in diversi tipi di qualità, partendo dal 100% al 10% del dettaglio:
Come potete notare la qualità d’immagine va pian piano deteriorandosi, partendo da una risoluzione perfetta per qualsiasi tipo di pubblicazione, ad una praticamente inutilizzabile.
JPEG: quando viene utilizzato in fotografia
I fotografi conoscono bene il formato JPEG, essendo presente su tutte le fotocamere reflex e mirrorless. Le macchine fotografiche digitali del giorno d’oggi permettono di scattare con questa compressione, divenuta appunto lo standard, e molti scelgono di utilizzare proprio questo formato quando hanno bisogno di avere le immagini pronte all’uso e alla distribuzione subito dopo essere state scattate. Infatti, il nostro consiglio è quello di fotografare direttamente in JPEG quando si ha necessità di avere un file pronto e pulito, lavorato già dal processore della macchina fotografica, al quale non serve poi un processo di sviluppo accurato a computer o su un software di editing.
Per fare un esempio, molti dei fotografi che scelgono di scattare direttamente in JPEG in ambito lavorativo sono i professionisti degli eventi sportivi, perché subito dopo la partita di calcio, dopo la corsa della Moto GP o qualsiasi altro tipo di evento, devono inviare immediatamente le immagini alle proprie redazioni che devono produrre il giornale per il giorno dopo o gli articoli inerenti per i siti online; come capirete il fotografo non ha il tempo effettivo di mettersi al computer per post produrre gli scatti e inviarli. In situazioni come queste è consigliabile scattare in JPEG. La maggior parte delle macchine fotografiche digitali di oggi permettono anche una accurata modifica dei parametri di scatto, in modo da avere un file di ottima qualità in questo formato.
Altra occasione in cui può tornare utile scattare in JPEG possono essere eventi in discoteca, dove il gestore vi richiederà tutte le foto che avrete realizzato entro pochissimo tempo (spesso entro il giorno dopo), per poterle pubblicare sulla pagina Facebook o Instagram del locale. Ecco: avrete, come minimo, scattato un milione di fotografie, e non mi pare proprio il caso di fotografare in altri formati, altrimenti non finirete più e addio Cliente.
JPEG: tutte le estensioni dei file
L’estensione di un file in ambito informatico sta ad indicare il suffisso dello stesso, caratterizzato da una sequenza di caratteri alfanumerici posto alla fine del nome. La più diffusa per il JPEG è sicuramente .jpg, ma non è raro vedere suffissi come .jpeg, .jfif o .JPE.
Al loro interno i file contenenti immagini JPG possono essere diversi, anche presentando la stessa estensione. Per esempio, un file “.jpg” può essere strutturato sia come JFIF/jpeg sia come Exif/jpeg. Altri tipi di formati basati su questo processo di compressione sono il JPEG Network Graphics (JNG), e il TIFF, che può contenere stream jpeg.
JPEG: conclusioni
Il JPEG è quindi il formato compresso standard al mondo, utilizzabile su qualsiasi piattaforma. È perfetto per il web perché permette di tenere un ottimo rapporto qualità/peso – essenziale soprattutto sui siti web per farli caricare in tempi adeguati – e per la visione e condivisione tramite dispositivi mobili o monitor. Il nostro consiglio generale è di scattare in jpg esclusivamente quando si sta lavorando ad un evento e si ha necessità di consegnare subito il materiale prodotto, altrimenti è consigliabile fotografare in formato RAW per avere molta più libertà di post produzione.
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