La recensione de La Regina Degli Scacchi non era prevista, ma ho sentito la forte urgenza di scriverla perché è una miniserie bellissima, che mi ha stupito in positivo, puntata dopo puntata. Di serie Tv belle ce ne sono a bizzeffe e spesso sono un successo annunciato, invece La Regina Degli Scacchi è uscita su Netflix senza particolari clamori, né battage pubblicitari, eppure ha raggiunto un successo clamoroso tra gli utenti della piattaforma per la sua stupefacente qualità a ogni livello. Devo confessarvi che mi ha stupito e ho riscoperto quanto è bello farsi stupire in questo modo, quando approcci un prodotto senza particolari aspettative o sovrastrutture dovute all’hype che, anche se poi viene rispettato, lascia sempre quel senso di aver visto esattamente quello che si doveva vedere, ma ci si aspettava comunque un qualcosa in più. Invece approcciarsi a qualcosa di bello completamente senza aspettative, lascia quella sensazione di “compimento” che è difficile avere oggi.
La Regina Degli Scacchi, recensione: le mosse della Regina
La Regina Degli Scacchi è una miniserie, cosa che adoro in partenza: 7 puntate e finisce lì, non ci sono altre stagioni, non bisogna aspettare un anno per vedere come va avanti, sempre che Netflix non decida di chiudere e niente, bisogna accontentarsi di un finale che non finisce. A parte l’incertezza del futuro, l’altra cosa che mi fa adorare le miniserie, quando lo sono davvero, è che l’arco narrativo si apre e si chiude in quel tot di ore che servono a raccontare la storia e i personaggi e non ci sono divagazioni per inserire sottotrame che poi verranno sviluppate più avanti, o che per riempire le puntate e lasciare spazio a un seguito, vengono aggiunte cose riempitive, fini a sé stesse. La Regina Degli Scacchi fa esattamente questo: parte dal punto A e arriva alla Z senza troppi fronzoli, concentrandosi sullo sviluppo dei personaggi, senza perdersi in racconti accessori che non aggiungono nulla, focalizzandosi su quello che deve raccontare, in modo preciso, lasciando la sensazione che tutto quello che c’era da dire sia stato detto, che le metafore e le considerazioni che aveva da fare sono state fatte e al finale della settima puntata non rimane quella sensazione che sia stato perso o tralasciato qualcosa.
La Regina Degli Scacchi è frutto di un lavoro certosino di sceneggiatura che spazia dai macro temi a cose più intime e personali, ma comuni a tutti. La miniserie è tratta dall’omonimo libro di Walter Tevis. scrittore classe 1928, che nei suoi romanzi ha dipinto l’America dei suoi anni e a cui il cinema deve molto, avendo approfittato per sfornare dei film che oggi sono considerati dei classici come Lo Spaccone e il suo seguito Il Colore Dei Soldi e L’Uomo Che Cadde Sulla Terra. La Regina Degli Scacchi era destinato a diventare un film già nel 2008, per mano del compianto Heat Ledger al suo primo lavoro come regista, ma sappiamo tutti come è finita. Poi il progetto nel 2019 è stato assorbito da Netflix che l’ha affidato a quelle menti sagaci di Scott Frank e Allan Scott. Il secondo si è messo i panni panni del produttore, mentre il primo quelli dello sceneggiatore e regista e un anno dopo, nel 2020, io sono qui a scervellarmi per dirvi tutto quello che vorrei dirvi su questa miniserie senza scrivere un articolo lungo come un libro.
Sicuramente la scelta dell’attrice protagonista è stata la mosse vincente, lo Scacco Matto per antonomasia. Anya Taylor-Joy è perfetta nel ruolo di Bet Harmon perché incarna alla perfezione lo straniamento del personaggio, con quel modo di muoversi misurato, a tratti robotico, e quel viso molto particolare, quasi alieno, è l’essenza stessa della miniserie. Il ruolo le è stato cucito addosso da Frank, che l’aveva scelta ancora prima di scrivere la sceneggiatura, mandandole il libro, perché era essenziale avere un’attrice che riuscisse a raffigurare in modo così convincente una personalità al di fuori di quello che conosciamo, in grado di esprimere stupore per tutte le cose che conosciamo e che per lei sono nuove, e contemporaneamente rappresentare una passione bruciante per gli scacchi derivata da un talento più unico che raro. Come se fin qui fosse un compito facile, tutto ciò doveva rimanere nel range del credibile, senza sfociare nella forzatura, mantenendo alta la sospensione dell’incredulità, tanto da instillare il dubbio che la miniserie fosse una storia vera o un’opera di fantasia.
La Regina Degli Scacchi, recensione: il gioco degli scacchi non è uno sport per femminucce
Ma la Regina Degli Scacchi non è la semplice cronistoria della vita di Bet Harmon, anzi, quello è un pretesto per parlare di tante altre cose, come dicevo prima, passando dai macro argomenti, fino a quelli più intimi della natura umana. Il racconto si svolge tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 e mette in luce la condizione femminile che, a distanza di 60 anni, non è cambiata di una virgola. Bet Harmon può essere brava quanto vuole, battere chiunque agli scacchi, ma sui giornali verrà messo sempre l’accento sul fatto che la cosa stupefacente non è il talento, la bravura e la preparazione che portano alla vittoria, ma che a vincere è una donna. Uno potrebbe pensare che le cose siano cambiate nel frattempo, ma poi ti capita di leggere su tutti i giornali che nel 2020 il premio Nobel per la chimica è stato vinto da due donne. Non due scienziate, due chimiche o due ricercatrici, no! Due donne, come se il fatto che abbiano una vagina (o in questo caso due!) conti più del fatto che hanno un cervello grosso il doppio dei giornalisti che hanno scritto gli articoli, ripeto, nel 2020.
La cosa che in realtà mi è piaciuta di più è sicuramente tutto il discorso sul talento personale. Bet Harmon ha talento, è naturalmente portata a giocare a scacchi, li vede come nessun altro, vive la scacchiera come se il suo vero mondo fosse quello, così manicheo, dove esistono solo il bianco e il nero e i grigi sono le persone intorno, quelle al di fuori di quel mondo, che possono solo sperare di perdere con dignità. Ma il talento basta? Assolutamente no, ci vuole studio, abnegazione, metodo e allenamento per sviluppare quella vocazione, trasformandola in qualcosa di misurabile, di concreto, di controllabile per arrivare ad avere dei risultati costanti e ripetibili. Altrimenti il talento da solo non porta a nulla e i primi risultati positivi sono frutto più della fortuna che della vera applicazione della bravura. E questo lo facciamo sempre, io per primo mi ci ritrovo molto in questo discorso: se siamo portati per un qualcosa lo facciamo quando ci va perché sappiamo che ci riesce bene, ma prima o poi arriverà quel qualcuno che quel talento l’avrà allenato e sarà meglio di noi. Con tutte le catastrofiche conseguenze sulla nostra voglia di fare, l’autostima e il conseguente fallimento. La strada per il successo è lastricata dei cadaveri di gente pigra, ma piena di talento.
Altro tema fondamentale de La Regina Degli Scacchi è il nemico. La miniserie segue quella che a livello narrativo rientra nell’archetipo de “il viaggio dell’eroe“. Ma c’è una piccola variante che si vede raramente nel cinema di massa, ossia l’ostacolo da superare per arrivare al compimento dell’obiettivo, questa volta non si tratta di una persona vera fisica. Certo, si può pensare che possa essere il temibile campione di scacchi dell’universo conosciuto e sconosciuto, il russo Vasily Borgov (interpretato in modo impeccabile, quasi solo con lo sguardo da Marcin Dorocinski), ma in realtà il vero “cattivo” siamo noi, o meglio, Bet Harmon che rappresenta tutti noi. Borgov è solo il nastro azzurro da superare per affermarsi e avere la riprova delle sue capacità, ma tra Bet/noi il suo/nostro obiettivo c’è sempre Bet/ci siamo sempre noi. C’è quell’insormontabile ostacolo dell’auto sabotaggio, dell’avere di fronte la fallacità delle sue/nostre convinzioni, le insicurezze che per forza di cose deve/dobbiamo affrontare e spesso decidiamo di scappare, di infilare la testa sotto la sabbia per non vedere, di coprirci con la calda coltre del “non son capace” senza nemmeno provarci, obnubilando la mente con altro, dando la colpa ad altri, senza mai affrontare il vero nemico di noi stessi: noi stessi.
La Regina Degli Scacchi, recensione: il mondo in bianco e nero
La Regina Degli Scacchi, come forse avete capito, mi ha stregato in tutti i sensi possibili ed immaginabili. L’ho appena finito, mi sono divorato le 7 ore di durata in 2 giorni, e me lo rivedrei subito da capo. Perché davvero rapisce, rendendo interessante e appassionate una cosa noiosa come le partite a scacchi anche per gente che, come me, di sto gioco non ci capisce una mazza. Per farvi capire il mio livello a scacchi, quando avevo 5 anni mio padre, appassionato di scacchi, ha provato a insegnarmi le basi, ossia i pezzi, i loro movimenti, le strategie e dopo un paio d’ore eravamo al pronto soccorso perché avevo un alfiere incastrato nel naso.
Eppure La Regina Degli Scacchi appassiona e durante le partite lascia con il fiato sospeso. Merito anche delle coreografie delle partite, perché in fondo gli scacchi sono una danza, studiate da Garri Kimovič Kasparov che, per chi non lo conoscesse, è per gli scacchi quello che Rudol’f Nureev era per la danza che, per chi non lo conoscesse, è per la danza quello che Diego Armando Maradona è per il calcio che, per chi non lo conoscesse, è per il calcio quello che Garri Kimovič Kasparov è per gli scacchi. E così via, se volete continuo a oltranza.
Scherzi a parte, non ho trovato nulla fuori posto ne La Regina Degli Scacchi: sceneggiatura, regia, fotografia, costumi (meravigliosi quelli di Anya Taylor-Joy che hanno sempre un qualcosa di scacchistico, dai colori alle trame dei tessuti), recitazione. Il merito più grande è proprio quello di non aver fatto parlare di sé prima, così da poter affrontare la visione senza sapere niente, facendomi prendere sin dal primo sguardo in macchina della protagonista, fino al suo “Giochiamo!” finale.
Ho apprezzato tantissimo anche come è stato affrontato il lato sentimentale, in modo sobrio, ma profondo, senza inserire psicodrammi che poco avrebbero aggiunto alla storia, ma molto avrebbero tolto ai personaggi. Davvero un ottimo lavoro sotto tutti i punti di vista, quasi stupito dal fatto che sia solo una miniserie per lo streaming online e non un’opera di più altro valore, almeno nel nostro modo di vedere le cose.
Certo, ci sono state polemiche perché Bet Harmon usa solo tattiche scacchistiche maschili e non riprende niente da famose campionesse di scacchi, ma nella miniserie ha tutto un senso: parla di un mondo maschilista e patriarcale, in cui solo gli uomini sono famosi e sono i detentori dei segreti di questo gioco, se ci fossero state altre donne tutta la metafora cadrebbe come un castello di carte togliendo molto al senso de La Regina Degli Scacchi.
In ogni caso, io non mi sono accorto di nulla, ma d’altronde sono quello con un alfiere incastrato nel naso, quindi guardo oltre e apprezzo quello che è, non quello che altri avrebbero voluto fosse.
La Regina Degli Scacchi è disponibile su Netflix, questo il trailer ufficiale.
Recensione in breve
La Regina Degli Scacchi
Una miniserie evento, un meritato successo strepitoso per Netflix. La Regina Degli Scacchi è un gioiello in 7 puntate serrate, senza nulla fuori posto, che non lascia spazio a fronzoli non necessari e cattura subito l'attenzione, grazie alla protagonista Anya Taylor-Joy, in una interpretazione praticamente perfetta. Da vedere e rivedere subito
PRO
- Anya Taylor-Joy
- Il senso e le piccole sfumature della serie
- Gli scacchi come pretesto per parlare della vita in modo intelligente
CONTRO
- Prima o poi finisce