Ratched, di cui questa è la recensione, è l’ultima delle nuove serie prodotte da Netflix, in uscita sulla piattaforma il 18 settembre. Dopo lo space-drama Away, di cui vi avevo parlato poco tempo fa, ora è il turno del thriller/drama, se così vogliamo dire, perché Ratched è una serie molto particolare che affonda le sue radici negli anni ’60 e ’70. Possiamo considerarlo un esperimento, a livello concettuale, ma ricalca pedissequamente gli stilemi del genere di cui fa parte, o vorrebbe farne parte, forse è meglio dire. Lo show runner di Ratched è il famoso Ryan Murphy, ma ci arriveremo con calma.
Ratched recensione: da dove viene?
Per scrivere una recensione approfondita di Ratched devo fare un passo indietro, sia perché senza conoscere le origini della serie il giudizio sulla stessa sarebbe parziale, sia perché nei titoli di testa è scritto chiaramente da dove è stato preso lo spunto.
Ratched, o meglio, Mildred Ratched è il personaggio di un romanzo scritto da Ken Kesey nel 1962, poi diventato un film capolavoro nel 1975 che ha segnato la storia del cinema e non solo: Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo.
Seguono spoiler sul film, vi avverto anche se sono passati 45 anni e in teoria dovrebbero essere già caduti in prescrizione e se non avete visto il film siete delle bruttissime persone.
Mildred Ratched è l’infermiera di Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo, uno dei 50 migliori, o peggiori, cattivi della storia del cinema secondo l’American Film Institute. Non posso che essere d’accordo, l’Infermiera Ratched (Louise Fletcher), con la sua pettinatura anni ’40, segno che la sua vita in qualche modo si è fermata in quegli anni, è la metafora perfetta di come il potere, rappresentato dall’istituzione ospedaliera in cui si svolgono le vicende del film, cerca di controllare i pazienti: non usa la forza, ma lo fa in modo subdolo, con droghe e parole di fredda manipolazione, che vanno a minare la mente già tormentata dei pazienti. Infatti alla fine del film, spinge il povero Billy Bibbit (Brad Dourif) al suicidio, facendo leva sui sensi di colpa per aver fatto sesso, per la prima volta, con una donna.
R.P. McMurphy (il gigantesco Jack Nicholson) invece rappresenta il libero cittadino che non si piega all’ordine costituito e lo aggira, sempre e comunque. Finisce nell’ospedale psichiatrico fingendosi pazzo per evitare la galera e lì organizza una “rivolta di pazzi” per sovvertire il sistema dall’interno, rappresentato appunto dall’infermiera Ratched. Ovviamente McMurphy si dovrà piegare all’istituzione, venendo lobotomizzato, ma è riuscito a risvegliare la coscienza dormiente di Capo Bromden (Will Sampson) che riuscirà a scappare dall’ospedale, raccogliendo il suo testimone.
Badate bene, mi sto trattenendo, potrei parlare i Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo per giorni e giorni e se non lo avete visto dovete correre a recuperarlo, ma per la recensione di Ratched vi ho detto abbastanza.
Ratched recensione: dove va?
Retched è una serie scritta da Evan Romansky e Ryan Murphy, già famoso per aver scritto e prodotto una lunga sequela di serie Tv, tra cui American Horror Story e Glee, giusto per citarne due agli antipodi, o la recente Hollywood, sempre per Netflix.
Ratched non si ispira direttamente a Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo, ma proprio al personaggio dell’infermiera MIldred Ratched e tenta di raccontare la sua vita prima di quello che succede nel libro e nel film.
Siamo nella seconda metà degli anni ’40, quel periodo illuminato della medicina moderna in cui la depressione era semplice malinconia, o melanconia per usare un termine medico e l’omosessualità, la demenza senile e l’atarassia erano disturbi curabili ravanando nel lobo frontale del paziente con un trapano a mano libera. Mildred Ratched (Sara Paulson che è anche produttrice della serie) è una giovane donna che si fa assumere nell’ospedale psichiatrico californiano in cui verrà trasferito, per accertamenti sulla sua salute mentale in vista del processo, un giovane pluriomicida (Finn Wittrock anche lui produttore della serie).
Non voglio dirvi altro della trama perché non voglio togliervi la sorpresa. Però posso dirvi che in Ratched niente è come sembra e ci sono un bel po’ di colpi di scena, capovolgimenti di trama e personaggi, un po’ di mistero, contorti psicodrammi esistenziali e passioni turbolente, torbide ossessioni con amanti, parenti, Isso, Essa e o’ Malamente, tutti insieme a vendicarsi, ma appassionatamente, come cantava il buon vecchio Frankie Hi-NRG MC.
Ratched recensione: com’è?
Purtroppo Ratched comincia bene, ma una lunga serie di difetti ne minano la qualità iniziale. Diciamo che le prime due puntate sono appassionanti, ma già dalla terza si comincia a capire che Ratched è una serie che potrebbe andare avanti per 20 stagioni senza colpo ferire, o venire a un dunque.
Il difetto principale è che si ha la sensazione di non stare seguendo un trama vera e propria, ma di assistere a una serie di avvenimenti, inserimenti di personaggi, situazioni scollegate tra di loro che rimandano alla puntata successiva. Eppure la trama, nella prima stagione di Ratched, c’è ed è ben chiara fin da subito, ma sembra sempre messa in disparte a favore di qualcosa d’altro, come fosse un debole filo conduttore di tutto in cui sguazzano personaggi eccentrici, ma senza alcun mordente.
A proposito di attori e personaggi, la presenza di Vincent D’Onofrio nei panni del senatore della California, è addirittura controproducente, si vede poco, ma quando è in scena si mangia chiunque divida l’inquadratura con lui e si vorrebbe davvero vederlo di più. Il resto ella truppa, per quanto bravi, sono intrappolati in ruoli che sembrano macchiette e non hanno nulla di appassionante, nulla che faccia temere per la loro sorte o che spinga a empatizzare con loro. Anche grazie a una certa incoerenza di base che li fa comportare in un modo e subito dopo in un altro, per caricare in modo pretestuoso il colpo di scena.
Il secondo grosso difetto di Ratched è una mancanza di direzione chiara. È, nelle intenzioni almeno, un thriller, ma si trasforma in dramma, in commedia, in farsa senza soluzione di continuità e spesso senza necessità o senza concludere ciò che è iniziato. Per essere chiari, a un tratto succede qualcosa che sembra preludere a una serie di situazioni comiche, o comunque ironiche, le premesse perché ciò succeda ci sono tutte, lo svolgimento carica il parossismo, ma il finale non c’è, come una barzelletta a cui manchi la battuta finale, si cambia semplicemente scena. E questo si ripercuote per tutte le cose che succedono, cose minime diventano improvvisamente importanti, per poi sparire nel nulla o risolversi in modo frettoloso e senza grazia, come bolle di sapone e viene da chiedersi come mai siano state inserite e gli sia data tanta importanza. Come succede con il personaggio di Sharon Stone che sembra essere di un certo peso anche nel proseguo delle stagioni ma, alla fine del suo ciclo, viene eliminato in modo brusco e con lei tutta la sottotrama di cui era protagonista.
Il terzo difetto è una eccessiva lentezza e verbosità della serie e dei personaggi. Otto puntate di un’ora l’una sono tante da riempire e, quando manca il minutaggio, allora ecco che parte il monologo/spiegone/chiarimento di dieci minuti. Vi faccio un esempio pratico senza rivelare nulla: in una puntata con un pretesto davvero poco credibile, parte un flashback piuttosto lungo che spiega a immagini e tante parole una cosa successa nel passato di un personaggio. Finito questo momento, il personaggio racconta per filo e per segno ciò che abbiamo appena visto nel flashback a chi era in sua compagnia e ha assistito alle conseguenze del flusso di ricordi. Nella puntata successiva lo stesso personaggio, racconta la stessa cosa per filo e per segno a una terza persona.
La voglia di mandare avanti veloce è molto forte, peccato che Netflix non abbia il tasto per vedere le serie a 2x.
Dopo un paio di puntate, il mordente di Ratched scema molto. Si ha la sensazione di essere davanti alla solita serie piena di intrighi, personaggi bizzarri e situazioni grottesche fini a se stesse, con un filo conduttore molto annacquato e davvero poco ispirato che fa rimpiangere le ottime premesse delle prime puntate.
Ratched recensione: conclusioni
Pensando a Ratched, quello che sembra davvero un peccato è che la messa in scena è invece convincente, nonostante alcuni scivoloni grossolani che rientrano più nel colpo a effetto che nella funzionalità vera e propria. La regia dei vari episodi è davvero molto buona, con inquadrature perfettamente centrate a là Wes Anderson, ma in salsa thriller/horror.
L’uso della fotografia è essenziale per ricreare quel mondo anni ’50, così appariscente e colorato, la cui ingenuità di superficie nascondeva malamente una grettezza e uno sprezzo per la diversità quasi doloroso. Anche l’uso dei colori è davvero eccezionale, a cominciare dagli abiti indossati da Sara Paulson che esprimono il suo stato d’animo, fino il cambio di luci e colore per le scene in cui la coscienza viene alterata, per la malattia mentale, verde, o la droga, rosso, la trovo davvero ottima come idea anche per anticipare e mettere nell’ordine di idee lo spettatore che sta per assistere a qualcosa che normalmente non sarebbe mai successo.
Così come trovo ottimo il voler parlare di follia, quella vera. Non quella tipo Joker, esplosiva, fatta di urla, mosse plateali ed eccessive, ma la follia subdola, invisibile fino alle estreme conseguenze, che rientra sotto il nome di psicopatia, o sociopatia per dirla con un termine medico.
Purtroppo tutto questo non salva Ratched che, seppur con buone premesse e delle buone idee di base, non riesce a svilupparle in modo convincente, riproponendo i soliti clichè di genere già visti mille volte, in mille salse diverse e non propone nulla di nuovo o abbastanza interessante da spingere ad aspettare una seconda stagione già in cantiere.
Vi lascio con il trailer ufficiale di Ratched:
Recensione in breve
Ratched
Ratched, la nuova serie Netflix, è ispirata al personaggio dell'infermiera Ratched di Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo. Benché inizi in modo accattivante, la serie scema a causa di una serie di difetti, tra cui una trama troppo diluita a cui non si dà la giusta importanza, i personaggi non proprio scritti in modo esemplare e una certa verbosità che la rendono eccessivamente pesante, ma potrebbe piacerw a chi conosce bene Ryan Murphy e a chi piace il suo stile.
PRO
- Regia e fotografia
- Quella sensazione di follia costante
CONTRO
- Eccessivamente verboso
- Situazioni già viste in mille altre serie
- Poco interessante su più livelli