Ecco la recensione di Solos, la nuova serie antologica di Amazon Prime Video creata da David Weil. Il titolo sarà disponibile in Italia dal prossimo 25 giugno sul servizio streaming. Abbiamo visto in anteprima i sette episodi composti da un super cast di interpreti (tra cui Anne Hathaway, Helen Mirren e Morgan Freeman), ognuno dei quali racconta un aspetto dell’esperienza della solitudine e delle relazioni umane.
Recensione Solos: introduzione
Può capitare a volte, nel grandioso mondo della musica, come nel mezzo di una sinfonia di elementi intenti a suonare insieme, si alzi o si isoli una sola voce. Nella lingua anglosassone è quel che si dice solo. L’individualità pronta ad emergere grazie alla melodia collettiva, a sua volta esaltata dalle doti di una prorompente solitudine. O di più solisti.
Solos, dunque. Una collezione di sette fantascientifiche solitudini umane, legate tra loro dalla potenza dei sentimenti e della nostra capacità di raccontare storie. Ed è forse l’aggettivo iniziale a trarre in inganno lo spettatore intenzionato a vedere l’antologia creata da David Weil (Hunters, The Twilight Zone). Nonostante la miniserie si ambienti nel nostro presente e in un futuro non così lontano, l’immagine del nostro domani è meno importante del testo invisibile nelle parole dei personaggi. Il contesto futuristico è soltanto un pretesto per raccontare qualcosa oltre lo schermo. Il dominio dell’Intelligenza Artificiale, i viaggi nello spazio ai confini dell’universo, la procreazione umana o la manipolazione dei ricordi: temi importanti ridimensionati di fronte all’esperienza singolare e filosofica dei racconti frammentati di vita dei sette superlativi attori.
Recensione Solos: un gioco di scrittura, non di immagini
La serie, scritta dallo showrunner Weil, si sviluppa attorno a sette puntate autoconclusive. In ognuna di esse, viene introdotto il personaggio di turno con una frase criptica e frammenti del proprio vissuto. Ci viene mostrata un individuo isolato, chiuso in una stanza o lontano dal resto del mondo ma connesso in qualche modo a realtà o dimensioni interiori o spaziali. Di volta in volta, i protagonisti iniziano dei lunghi monologhi intimisti – in ordine di Anne Hathaway, Anthony Mackie, Helen Mirren, Uzo Aduba, Constance Wu, Nicole Beharie, Dan Stevens e Morgan Freeman –, sul senso della vita, l’amore, il destino, la morte. E con qualche cosa di irrisolto nelle personali storie.
Solos ha una buonissima idea nella sostanza narrativa, ma la sviluppa in una forma visiva poco attraente perdendo molto della sua forza originale. Lo scenario sci-fi si riduce ad accenni discorsivi di scienze tecnologiche prodigiose o ad avveniristiche ambientazioni attorno ai personaggi. Il formato dell’immagine è racchiuso negli incessanti primi piani degli attori, con pochi movimenti di macchina o significative rappresentazioni alternative al luogo dove scaturisce la puntata. Dopo appena tre puntate il dispositivo narrativo del monologo diventa ripetitivo, chiaro e a tratti forzato. Lo storytelling viene affidato all’immaginazione dello spettatore: una scelta di regia e scrittura che si appoggia sui volti e i talenti degli attori. Solos è allora una gioia per la scrittura e una potenziale difficoltà per l’arte delle immagini in movimento. In particolare per genere fantascientifico, nel quale il gioco dell’immagine(azione) diventa fondamentale.
Recensione Solos: la bravura degli attori
In sette episodi Solos riesce insomma a “stravolgere” il famoso «show, don’t tell» spesso insegnato alle scuole di sceneggiatura. Eppure, grazie ai suoi interpreti, la serie lascia aperti piccoli spiragli di riflessione oltre l’immagine stessa. Ci sono richiami a 2001 – Odissea nello spazio e alla visione antropologica di Stanley Kubrick; così come la leggera sensazione di assistere ad una “lezione” di Black Mirror sui grandi temi dell’impatto tecnologico nelle emozioni e nelle relazioni tra gli esseri umani. Nonostante la ripetitività delle inquadrature, non si può rimanere indifferenti ai racconti scritti dallo stesso Weil.
Il desiderio di viaggiare nel tempo di una scienziata un po’ pazzerella (Anne Hathaway) e scoprire nel domani i fallimenti dei propri successi passati. Potente il monologo di Anthony Mackie – in un episodio a metà strada tra Carnage e Enemy –, sull’essere se stessi e il bisogno di essere ricordati. O ancora, una stratosferica Helen Mirren a bordo di una piccola navicella spaziale; un viaggio di ricordi rievocati solo con uno sguardo, mentre Space Oddity di David Bowie chiude una puntata intensissima. L’episodio di una bravissima Uzo Aduba rende poi esplicito uno dei temi che inizia a sembrare più potente: gli effetti dell’isolamento dell’era della pandemia. Non manca l’attualità sul senso di «fare una famiglia», la sessualità e le diverse responsabilità di crescere un figlio secondo Constance Wu in un vestito angelico.
Le ultime due puntate, infine, sono più pertinenti con quel concetto di “fantascientifico” legato alla recensione di Solos. Infatti Nera (Nicole Beharie) sviluppa probabilmente l’idea più potente ed efficace dell’intera prima stagione, basata sul trattamento per la fertilità del prossimo futuro e, dunque, nel delicato tema della creazione della vita. Il finale della miniserie, poi, è affidato alla grandiosità di Morgan Freeman e al promettente Dan Stevens. Un giovane offre ad un vecchio demente seduto su un divano in spiaggia a contemplare il mare un mezzo per riacquistare i suoi ricordi, con i dilemmi amletici di esistenza e memoria.
Recensione Solos: la tecnica della solitudine
Insomma, la serie disponibile su Amazon Prime Video si regge grazie alle singole prove attoriali di quasi una mezz’ora a testa. Detto dunque dell’intensità e alla bravura degli attori, rimane l’interrogativo di fondo della miniserie: siamo in realtà tutti connessi attraverso l’esperienza umana? Addirittura IGN, nella sua recensione, scrive come «L’incapacità dello show di abituarsi all’isolamento è frustrante e, ironia della sorte, fin troppo familiare a quelli di noi che hanno vissuto simili frustrazioni nell’ultimo anno». Eppure, le ristrettezze dovute al COVID-19 rappresentano bene la necessità di fondo di quest’opera irrisolta.
Molti primi piani ravvicinati, pochi movimenti di macchina, il genere predisposto alle sfide del domani. Il bisogno di fermarsi e riflettere – tramite I.A. o con versioni di se stessi – sulla propria condizione esistenziale. In fin dei conti, Solos è stato girato e montato tra ottobre e novembre del 2020, quando i protocolli sanitari regolavano rigidamente la vita delle persone. Incluso il mondo dell’arte. Probabilmente la limitazione della tecnica è una scelta registica non voluta. Eppure ha consentito alla serie di esplorare in modo autentico l’altro grande tema di questo prodotto: la capacità umana di raccontare storie.
Anche nei momenti in cui ci sentiamo più soli, abbiamo bisogno di raccontare – fare la conta – della nostra esistenza. E come ha ampiamente dimostrato Jonathan Gottschall nel suo grandioso saggio L’istinto di narrare, «le storie sono il collante della vita sociale umana, definiscono i gruppi e li tengono saldamente uniti». Così le intense esperienze emozionale e filosofiche di Solos diventano occasione per riepilogare chi siamo e dove stiamo andando come esseri umani.
Recensione Solos: le nostre conclusioni
Se da un lato, insomma, la serie prova a sviluppare un proprio punto di vista su un determinato tema affidandosi perlopiù al potere delle parole piuttosto che a quello delle immagini, dall’altro l’opera di Weil non prende una vera posizione autoriale sul senso dei legami umani nell’imminente futuro. Non ne ricerca le conseguenze, non si sforza di ampliarne gli orizzonti o creare qualche trovata visiva stimolante da lasciare il segno. Solos è una serie da apprezzare per le buone intenzioni, ma può essere detestabile se le aspettative sono differenti se questa ultime si incentrano sull’irrisoria cornice fantascientifica.
Può valerne la pena, invece, per le singole storie figlie di sperimentazione e virtuosismi letterari, a patto che lo spettatore sia disposto ad accettare un’opera teatrale fantascientifica su schermo. Un prodotto in grado di rispecchiare cosa è stata la pandemia che ha sconvolto il mondo e il modo umano di intendere i rapporti. Con quell’abbraccio finale forse davvero dal sapore di una promessa. Così, come accade nella musica, si può ricordare un brano per l’assolo invece del risultato complessivo degli altri componenti. E in un grande album corale, a volte va bene anche così.
La serie sarà disponibile dal 25 giugno sul servizio streaming Amazon Prime Video.
Recensione in breve
Solos
L'antologia di fantascienza in sette parti di Amazon, con un cast stellare, prova a indagare il senso dei rapporti umani tramite il potere di storie frammentate. Un grande lavoro di scrittura e recitazione sminuito dalla ripetitività dei primi piani e dallo sforzo di approfondire i grandi temi del domani accennati nel contesto.
PRO
- I monologhi e le prove recitative di ogni attore da applausi
- Una sceneggiatura ricca di virtuosismi letterari
CONTRO
- La monotonia delle inquadrature
- La mancanza di una prospettiva autoriale forte dato il genere fantascientifico