Quale è uno dei patemi d’animo che più ossessiona la vita di ogni fotografo? La risposta è semplicissima: la presenza, nei suoi scatti, di quello che viene tecnicamente definito come “rumore digitale” o “rumore elettronico”, un parametro talmente importante che in ogni recensione di una macchina fotografica si susseguono test su test per mostrare quanto la stessa sappia reggere salendo con la sensibilità ISO. Mettetevi il cuore in pace: tutte le fotocamere soffrono di questo problema, motivo che ci ha spinti a scrivere questa guida per spiegarvi, nel modo più dettagliato, come evitarlo il più possibile o cercare di sistemarlo quando si palesa come un demone arrabbiato.
Rumore digitale: introduzione
Prima di addentrarci nella spiegazione del rumore digitale, detto anche rumore elettronico, è doveroso fare una piccola precisazione, soprattutto perché il nome stesso potrebbe trarre in inganno i meno esperti tra voi: questo problema esiste da quando esiste la fotografia, e il rumore digitale è l’evoluzione tecnologica di un concetto che già si trovava nella fotografia analogica con il termine di granulosità. La grana (quella fotografica, non il formaggio) si forma perché le pellicole 35 mm sono costituite da un insieme di grani di alogenuro d’argento (non servono per sistemare i lupi mannari, tranquilli), i quali vanno a costituire l’elemento fotosensibile. Maggiore è la dimensione di questi grani, maggiore è la velocità della pellicola, racchiusa in un valore ISO (inizialmente ASA) che è tanto più alto quanto più è elevata la sensibilità della pellicola stessa alla luce. La loro dimensione influisce sul risultato finale dello scatto, poiché le pellicole con emulsione rapida sono contraddistinte da grani via via più visibili all’aumentare del valore ISO impostato, creando in fase di stampa un’immagine sgranata.
Come avrete capito, il rumore esiste dall’alba dei tempi e il rumore digitale ricalca i principi della granulosità delle pellicole ma applicati ai sensori digitali delle macchine fotografiche. Le nostre fotocamere, reflex o mirrorless che siano, ci offrono tutte la possibilità di impostare il valore della sensibilità ISO a nostro piacimento (molto più comodamente rispetto un tempo, dato che una volta che si inseriva una pellicola ISO 400 bisognava finirla prima di cambiarla e, di conseguenza, si regolavano le altre impostazioni basandosi su di essa), ma l’aumentare della sensibilità alla luce del sensore fotografico porta per forza di cose ad un aumento del segnale di disturbo generato dalla carica elettrica del fotodiodo. In parole povere, molto povere, per rumore digitale si intende quel disturbo che rovina l’immagine e la rende più o meno sgranata.
Sono sicuro che tutti voi, anche i meno esperti che si sono appena approcciati alla fotografia, vi siete imbattuti nel rumore elettronico almeno una volta nella vita e avete pensato: “Ora cosa faccio?”. Bene: noi di FotoNerd siamo qui apposta per delucidarvi su questo quesito ed aiutarvi a capire come evitare il rumore digitale o, nei casi peggiori, come provare a porci rimedio tramite il processo di post produzione.
Rumore digitale: definizione
Il rumore digitale è un segnale di disturbo costituito da pixel casuali sparsi in tutta la foto e risulta composto da due componenti fondamentali: il rumore di luminanza ed il rumore di crominanza, due disturbi che non dipendono dagli stessi identici fattori. Il rumore di luminanza è direttamente proporzionale al valore ISO impostato (più sarà alto, maggiore sarà il disturbo presente nell’immagine), il secondo, invece, si basa sul tempo di esposizione: più sarà elevato, più la sua insorgenza risulterà maggiore a parità di valore ISO. Andiamo adesso ad analizzarli nel dettaglio, in modo da farveli capire per bene.
Rumore di luminanza
Il rumore di luminanza è dovuto principalmente alla natura del sensore fotografico delle macchine fotografiche, ossia quel piccolo chip che acquisisce tutte le informazioni che vanno a comporre l’immagine finale (per maggiori informazioni vi invitiamo a leggere la nostra guida ufficiale). Il sensore digitale è infatti il cuore di ogni macchina fotografica moderna ed è composto da un mosaico di fotodiodi, ossia elementi che trasformano l’energia dei fotoni (particelle fondamentali che compongono un raggio luminoso) in un segnale elettrico. Esistono due tipologie principali di sensore in commercio: CCD e CMOS.
Il sensore CCD (acronimo di Charge-Coupled Device) è un circuito integrato in grado di accumulare carica elettrica in maniera direttamente proporzionale all’intensità dell’onda elettromagnetica (e quindi della luce) che lo colpisce. Tali elementi, come si può intuire dal nome, risultato accoppiati e ogni fotodiodo è incaricato della sola lettura della luce. La carica elettrica generata viene trasportata sotto forma di segnale analogico attraverso i bordi del sensore fino a venire trasformata in un segnale digitale da un apposito chip. In questo modo, l’uniformità del segnale è massima e garantisce un’alta qualità dello stesso in fase di lettura. Sembrerebbe tutto rose e fiori, ma c’è un rovescio della medaglia: l’alto costo di produzione e l’elevato dispendio energetico rendono questa tipologia di sensore una scelta poco vantaggiosa per i produttori di macchine fotografiche e vengono solitamente sviluppati per i prodotti destinati all’astronomia.
Il più conosciuto sensore CMOS (acronimo di Complementary Metal-Oxide Semiconductor) è formato da un insieme di fotodiodi analogamente ai sensori CCD, ma in questo specifico caso ogni fotodiodo è accoppiato ad un convertitore, ad un amplificatore di segnale e a un riduttore di rumore. Questi trasformano il segnale captato in formato digitale e il processo permette un sostanzioso risparmio in termini energetici rispetto ai CCD. Al giorno d’oggi, rappresenta il miglior compromesso per le moderne macchine fotografiche.
L’insorgenza del rumore digitale, sia con sensori CCD che CMOS, è dovuta alla natura non perfetta degli stessi: essi, infatti, generano del rumore anche quando le condizioni di luce sono ottimali, ma vi sembrerà di non averne solo perché risulterà inferiore al segnale catturato. Quando ci si trova in condizioni di luce precarie, invece, andando ad alzare la sensibilità ISO (vi consigliamo di leggere la guida sulla sensibilità ISO fotografia, se non conosceste l’argomento) si aumenta contemporaneamente la capacità dei fotodiodi di captare la luce e il rumore diventerà sempre più predominante fino a tramutarsi in una grana monocromatica presente in modo uniforme nel vostro scatto, costituendo come vi abbiamo rivelato il rumore di luminanza.
Rumore di crominanza
Come dicevamo poco sopra, l’altro fattore a decretare il rumore elettronico nelle nostre fotografie è il rumore di crominanza. Esso non dipende tanto dal valore ISO impostato, bensì è influenzato principalmente dal tempo di esposizione (detto anche tempo di scatto) utilizzato. Infatti, tale rumore, è decretato dalle variazioni di temperatura del sensore e, maggiore sarà il tempo impostato, maggiore sarà la temperatura e di conseguenza il rischio di incorrere nel rumore di crominanza. Non è un caso, per spiegarci meglio, che in alcuni generi fotografici che prediligono le lunghe esposizioni (come la fotografia notturna, per intenderci) si opti per prodotti con sensori CDD dotati di sistemi di raffreddamento termoregolati.
A differenza del rumore di luminanza, presente come dicevamo sotto la forma di macchie monocromatiche presenti in ogni parte del fotogramma, quello di crominanza è costituito da pixel colorati (rosso, verde o blu) presenti sia in pattern isolati che in bande, risultando estremamente fastidioso perché molto più visibile. Scendendo un po’ nel tecnico, giusto per darvi quella nozione in più che non fa mai male, tali pixel sono spesso definiti come hot pixel.
Rumore digitale: come evitarlo
Arrivati a questo punto della nostra guida sul rumore digitale ormai avete tutte le nozioni per comprendere cosa sia e come si presenta, quindi è arrivato il momento che tutti aspettavate: quello di spiegarvi come evitarlo. Al giorno d’oggi, grazie al progresso tecnologico e alle capacità sempre superiori dei sensori fotografici, questo è un problema che non deve assolutamente farvi rimanere svegli la notte perché si può facilmente correggere nella maggior parte dei casi. Se è vero che, data la natura stessa dei sensori, il rumore elettronico non può essere del tutto eliminato, è altrettanto vero che impostando la macchina fotografica nel modo corretto in fase di scatto, gestendo la luce adeguatamente e, in casi estremi, utilizzando i programmi delle software house per l’editing fotografico, incorrere in questo problema è molto meno traumatico che vent’anni fa.
Rumore elettronico: evitarlo in fase di scatto
In primo luogo vediamo come evitare il più possibile il rumore digitale in fase di scatto, perché come dice il proverbio “prevenire è meglio che curare”. Il primo consiglio che mi sento di darvi è quello di tenere il valore ISO il più basso possibile, ovviamente regolandosi in base alla luce presente nella scena che state immortalando. Nel caso estremo, tendete a sovraesporre piuttosto che sottoesporre (come si potrebbe dedurre), perché il rumore digitale si annida (come i mostri nell’armadio) soprattutto nelle ombre e alzando l’esposizione in post produzione non farete altro che andare a “stanarlo” e farlo apparire. Sovraesponendo l’immagine, invece, andrete a chiudere le ombre e rendere meno evidente il problema. Un altro consiglio che mi sento di darvi, sempre inerente alla fase di scatto vera e propria, è quella di utilizzare il miglior treppiede per foto nel caso aveste davanti a voi un soggetto statico, elemento che vi permetterà di allungare i tempi piuttosto di alzare la sensibilità ISO. Se non steste capendo bene di cosa sto parlando vi consiglio caldamente di leggere prima la nostra guida su come usare la reflex in manuale, articolo in cui vi spieghiamo nel dettaglio quanto gli elementi del triangolo dell’esposizione (diaframma, tempi e ISO) agiscano in modo complementare sul risultato finale.
Cercate il più possibile di minimizzare il surriscaldamento del sensore fotografico evitando i tempi lunghi e dando, alla macchina fotografica, momenti di pausa tra una serie e l’altra per raffreddarsi; non mento nel dirvi che basta davvero qualche secondo per far scendere la temperatura ed evitare l’insorgenza di un numero maggiore di hot pixel. Provate anche le esposizioni multiple, nel caso foste interessati ad immortalare la volta celeste in quelli che, in gergo tecnico, vengono definiti startrail. Utilizzando un intervallometro potrete regolarvi per lasciare qualche secondo tra uno scatto e l’altro, dando quindi il tempo al sensore di raffreddarsi.
In conclusione, un consiglio che mi piace sempre dare, scattate in formato RAW: come vi spieghiamo nella guida dettagliata, questo formato è grezzo e non applica nessun tipo di compressione all’immagine immortalata. Cosa significa? Semplicemente che, nella fase di post produzione, vi ritroverete con in mano (beh, non proprio fisicamente) un file dalla malleabilità superiore e sul quale potrete fare delle modifiche molto più spinte senza preoccuparvi di rovinarlo o vedere spuntare degli artefatti fastidiosi, andando quindi ad agire meglio sul rumore elettronico.
Rumore elettronico: software fotocamere
Per quanto concerne il lato software delle macchine fotografiche, quelle in commercio al giorno d’oggi offrono due funzioni (attivabili dai menù) per la gestione del rumore elettronico: riduzione del rumore ad alti ISO e riduzione del rumore da lunghe esposizioni.
L’opzione riduzione del rumore digitale ad alti ISO è equivalente a quella ottenibile dai plugin o dagli strumenti presenti di base nei programmi di editing come Ligthroom o Photoshop, ma non è particolarmente vantaggiosa per alcuni motivi: il primo dipende dai limiti delle capacità di calcolo della macchina fotografica, sicuramente inferiori a quelle di un qualsiasi computer, e in secondo luogo tale funzione è utilizzabile solo scattando in formato JPG e non in RAW. Meglio evitare questa opzione, scattare in formato grezzo e andare manualmente a sistemare il rumore digitale durante il processo di sviluppo della fotografia.
La riduzione del rumore elettronico da lunghe esposizioni, invece, ha un funzionamento piuttosto semplice: scattata la foto con una lunga esposizione, la macchina fotografica effettuerà un altro scatto (di durata pari a quello già effettuato) noto come dark frame. Questo secondo “shot” non è altro che una mappatura degli hot pixel presenti grazie la quale il software interno della camera opererà una sottrazione degli stessi restituendovi uno scatto ripulito da qualsiasi disturbo indesiderato. Questo sistema funziona bene e l’unico problema, se così vogliamo chiamarlo, è che essendo sempre una lunga esposizione il secondo scatto vi porterà via tanto tempo quanto il primo, fattore da tenere in considerazione se si va a scattare con tempi decisamente lunghi. Per farvi un esempio, pensate di applicare questa opzione su una foto impostata a 15 minuti di esposizione che, uniti ad altri 15 del dark frame, vi porterà via la bellezza di mezzora.
Rumore elettronico: eliminarlo in fase di editing
A mali estremi, estremi rimedi: se non avete la possibilità di applicare uno dei consigli che vi abbiamo dato, che sia per le condizioni quasi impossibili della luce o per altri motivi, l’unico modo rimasto per fronteggiare la battaglia al rumore elettronico è quello di toglierlo durante il processo di editing fotografico. Al giorno d’oggi esistono tantissimi programmi di post produzione, tutti con il loro plugin dedito a questo delicato compito. Lightroom, Photoshop, Capture One: tutti offrono la possibilità di sistemare il problema grazie ad una tabella dove vi sarà possibile ridurlo fino a farlo scomparire, ma attenzione: non dovete mai esagerare nella voce “rimozione rumore/disturbo digitale”, perché questo comporterà una drastica riduzione della qualità dell’immagine e della sua nitidezza, quindi cercate sempre di abbassarlo senza creare ulteriori problemi. Trovate il giusto equilibrio, non dateci dentro come dei matti e tenete sempre sotto controllo la situazione.
Prima di concludere, vorrei fare una piccola considerazione personale: al giorno d’oggi, forse, ci preoccupiamo troppo del rumore digitale. Perché dico questo? Perché, per colpa del digitale e delle incredibili (e belle) possibilità che ci offre, spesso tendiamo a non valutare il rumore digitale presente nell’immagine nella sua dimensione naturale ma a 100x. Con un ingrandimento di questo tipo è normale vedere una tonnellata di rumore anche a 200 o 400 ISO perché lo zoom va praticamente “dentro” la foto. Non voglio essere cattivo, ma questa possibilità è fuorviante e dovremmo imparare tutti a valutare lo scatto nel suo complesso e non con un ingrandimento 100x. Noi fotografi figli del digitale ci siamo dentro tutti, nessuno escluso, e fa male vedere gente che butta nel cestino una foto solo perché c’è una puntina di rumore quando si zooma verso l’infinito e oltre, per farvi una semi citazione. Non va bene, dovremmo imparare tutti a disabituarci da questa possibilità fuorviante e del tutto inutile ai fini della fotografia.
Rumore digitale: conclusioni
Spero con tutto il cuore che la guida al rumore elettronico sia stata di vostro gradimento e sia servita a farvi capire come funziona, quando si presenta e come si può evitare. Posso comprendere che sia un problema che tiene svegli molti fotografi, ma cercate di non fossilizzarvi troppo: ovviamente una foto piena rasa di rumore non è il massimo, ma quello che conta è il messaggio in fotografia e date sempre la priorità a quello; l’estetica, senza un contenuto, non vale nulla a meno che non sia specificatamente richiesta per un lavoro. Nel caso questa guida vi fosse piaciuta e vi interessasse proseguire un percorso di crescita insieme a noi, vi ricordiamo che abbiamo stilato una serie di articoli dedicati a vari argomenti:
Bell’articolo, che ho letto con molto interesse, grazie 🙂 Ma vorrei fare una domanda: la stampa di alta qualità restituisce lo stesso rumore che vediamo a monitor? O meglio, come si comporta il processo di stampa fine art di fronte ad un file digitale che contiene il fatidico “rumore”?
Ciao e buon tutto, Giovanni