Volete imparare a fotografare e vi piacerebbe capire al meglio le basi, ma vi sembra tutto così difficile. Vi hanno regalato una fotocamera nuova, la vostra prima fotocamera, o magari l’avete appena comprata. Che fare? Bisogna imparare a fotografare, capire a cosa servono tutti quei tasti, cercare di fare le cose fatte bene. Ma a chi volete darla a bere? A voi interessano le foto in cui si vedono le strisce di luce, oppure riuscire a catturare correttamente un gattino che corre, vero?
Che sia vero o falso, comunque nel percorso di apprendimento fotografico dovrete passare dallo step del tempo di esposizione, che fa parte del triangolo dell’esposizione, parte fondamentale per la corretta esposizione di uno scatto insieme a sensibilità iso e diaframma fotografia.
Tempo di esposizione: cos’è e come funziona
La conoscenza del tempo di esposizione è un punto cardine fondamentale ed essenziale sia per il “noob” (neofita) che ha appena iniziato sia per l’amatore evoluto. Se necessitate della definizione tecnica e didattica, sappiate che il tempo di esposizione esprime la quantità di luce che raggiunge, in un determinato tempo, il materiale impressionabile, inteso sia come pellicola che come sensore digitale. A questa definizione è quindi correlato il tempo di esposizione, che può essere definito anche come “velocità di scatto” o “velocità dell’otturatore“. Agendo in correlazione all’apertura del diaframma, il tempo di esposizione indica il periodo di tempo (espresso in secondi e/o minuti) in cui l’otturatore rimane aperto, permettendo quindi alla luce di attraversare l’obiettivo e arrivare al sensore (parlando di fotografia digitale).
il tempo di esposizione esprime la quantità di luce che raggiunge, in un determinato tempo, il materiale impressionabile
Tempo di esposizione: cenni storici per nerd
Nelle fasi primordiali della fotografia, l’impressionabilità delle pellicole, espressa in sensibilità della luce e attualmente detta “ISO” (una volta “ASA”) necessitava di un’esposizione alla luce decisamente lunga, come dimostra la storica fotografia di Nicéphore Niepce, in cui il tempo di esposizione era pari a circa otto ore.
Questa foto è divenuta storica in quanto, a conti fatti, è la prima in assoluto della storia. Fu realizzata nel 1826 a Le Gras, in Borgogna, ed è stata ottenuta cospargendo una lastra di stagno di bitume di Giudea ed esponendola alla luce del sole dalla finestra dello studio di Niepce. Si chiama “Veduta dalla finestra a Les Gras” e si tratta, come potete notare, di una foto in bianco e nero.
Dopo lo scatto di Niepce, ci pensò Louis Daguerre a cercare di perfezionare la tecnica e mettere a punto un procedimento di ripresa, cattura e impressione della luce che potesse essere più rapido e in grado di restituire soggetti più nitidi. Nacque così la “dagherrotipia“, che fu presentata al pubblico nel 1839 e a cui si susseguì poi il “dagherrotipo“, che possiamo definirlo come un processo per replicare la tecnica di Louis Daguerre. Questa ovviamente è solo la base, l’inizio di tutta la fantastica storia della fotografia che poi, nel corso del 1900, ha visto l’introduzione di veri e propri dispositivi fisici per lo scatto e ha permesso di ritrarre al meglio eventi storici importanti, soprattutto durante la guerra.

Non è questo però l’articolo giusto per parlare della storia della fotografia ed è giusto che io mi fermi qui altrimenti potrei andare avanti per ore con una delle mie digressioni infinite.
Tempo di esposizione: sovraesposizione, sottoesposizione e coppia tempo/diaframma
Dato che ora non solo sapete la storia ma sapete anche che l’esposizione è la quantità di luce che colpisce il materiale sensibile (pellicola o sensore digitale) durante una data quantità di tempo espressa in frazioni di secondi, secondi o minuti, addentriamoci in spiegazioni più tecniche e operativi.
Una fotografia viene definita “sovraesposta” quando l’esposizione risultante i parametri da voi scelti comporta una perdita di dettaglio causata dalla luce eccessiva che raggiunge il sensore. Tale foto viene comunemente definita “bruciata”, perché in effetti non vi è possibile vedere quasi nulla se non piccoli residui colorati in una bomba esplosiva di bianco ovunque. Spesso si sente parlare anche di “cielo bruciato” quando in una foto di un panorama la parte inferiore, con il paesaggio, è leggermente sovraesposta e il cielo completamente bianco senza nuvole e senza dettagli. C’è una soluzione a questo, che vi evita di bruciare il cielo nella paesaggistica e molto altro, si chiama Fotografia HDR, ma vi consiglio la lettura dopo aver appreso le basi di fotografia tramite le nostre guide per imparare a fotografare.
L’effetto contrario di una foto sovraesposta è detto “sottoesposizione” e rappresenta uno scatto in cui la luce che raggiunge il sensore è troppo poca, detta anche “buia”. Ora però proviamo ad andare oltre.
L’esposizione, in fotografia, è regolata da due fattori principali e reciproci tra loro che possono influenzare notevolmente il vostro scatto e fanno parte del triangolo dell’esposizione:
- Diaframma
- Tempo di esposizione
Come “fattori reciproci” è inteso che questi due valori sono correlati tra loro nel modo seguente: la medesima esposizione si ottiene aumentando uno dei due valori (come l’apertura del diaframma) e contestualmente diminuendo della stessa entità l’altro valore (cioè il tempo di esposizione). Tale rapporto viene definito come “coppia tempo/diaframma“, cioè l’insieme dei valori che alle stesse condizioni assicurano la medesima esposizione.
Ad esempio, fotografare un paesaggio a mezzogiorno (non fatelo mai, la luce del sole crea ombre troppo nette!) usando un diaframma f/8 e tempo di esposizione 1/250 (come vedete, espresso in frazioni di secondo, cioè, in questo caso, un duecentocinquantesimo di secondo) corrisponde ad avere la medesima esposizione chiudendo a f/11 il diaframma e aumentando di uno stop il tempo di esposizione, portandolo quindi a 1/125 (un centoventicinquesimo di secondo). Se non avete chiaro il discorso di “stop”, fate riferimento alla nostra guida sul diaframma fotografia.
Come potete notare, e come capirete meglio in futuro, avete visto due esempi di settaggi diversi tra loro ma che, seguendo il rapporto “coppia tempo/diaframma” permettono il medesimo risultato finale agli occhi dell’utente. Certo, si può proseguire sia in una direzione che in un’altra, pertanto, aprendo a f/5.6 (uno stop di diaframma rispetto a f/8) potrete esporre a 1/320 di secondo ottenendo lo stesso risultato, e ancora, chiudendo a f/16, sarete costretti a scattare a 1/60.
Badate bene: più il tempo di scatto sarà prolungato nel tempo (come esposizione) e prima necessiterete di:
a) non respirare e rimanere immobili;
b) usare un treppiede;
Le persone più immobili al mondo possono riuscire a scattare, con una fotocamera stabilizzata, anche a 1/15 (con difficoltà), per tutti gli altri il limite massimo si attesta tra 1/30 e 1/50. Per scattare a 1 secondo di esposizione è obbligatorio usare un treppiede, diversamente tutta la foto verrà mossa.

Ragionando al contrario invece, più il tempo sarà veloce e più riuscirete a catturare soggetti veloci. Tutte le fotocamere moderne riescono a scattare anche a 1/4000 (un quattromillesimo di secondo), che è un tempo estremamente veloce. Alcune fotocamere possono arrivare anche a 1/32000, tempo sufficiente a catturare un proiettile che vi passa davanti, sempre che riusciate a metterlo a fuoco correttamente.

Più il tempo sarà veloce e più il diaframma potrà essere aperto, e quindi, seguendo quanto spiegato nella guida sull’apertura del diaframma, con un apertura decisamente ampia avrete un tempo veloce e ridotta profondità di campo (es.: soggetto a fuoco, sfondo sfocato).
Tempo di esposizione: l’esposimetro
Sono certo che dopo aver letto tutta la spiegazione finora sarete un po’ più tranquilli per il fattore della conoscenza ma più agitati per la sperimentazione vera, perchè mi rendo conto che non sia immediato comprendere “la velocità a cui vanno le cose e la loro relazione con il tempo di esposizione espresso in frazioni di secondi”. Le classiche domande possono essere tipo “passi la macchina che va forte e che necessita un veloce tempo di esposizione, ma se devo fotografare un soggetto fermo?” oppure domande come “se devo fare una foto ad un paesaggio come faccio a capire il tempo d’esposizione da usare? E come capisco facilmente la sensibilità ISO giusta?” e bla bla bla simili.
Ho deciso di parlarvi subito in questa guida dell’esposimetro, perché in effetti è correlato al tempo di esposizione anche se si può usare anche come parte teorica del triangolo dell’esposizione (ancora più appropriato).
L’esposimetro è uno strumento, disponibile anche come oggetto fisico staccato dalla fotocamera, che permette di quantificare la luce e di suggerire le corrette coppie tempo/diaframma. Insomma, per molti questo strumento è visto male come i trucchi per il videogioco GTA: Vice City in cui con qualche combinazione giusta di tasti premuti diventavi ricco, pieno di armi e riuscivi anche a volare con i veicoli. Nella realtà dei fatti, io lo vedo più come un cambio automatico di una macchina per una persona che sa comunque guidare col cambio automatico: un aiuto da sfruttare al meglio dopo aver passato la fase dell’apprendimento.
Ad ogni modo, l’esposimetro non è soltanto uno strumento fisico distaccato dalla fotocamera bensì è possibile trovarlo all’interno, ormai, di qualsiasi fotocamera (nuova) in commercio, cosa che fino a qualche tempo fa non era ancora una certezza tecnologica. In sostanza, per quanto concerne la parte presente all’interno di una fotocamera, si tratta di una piccola barra orizzontale fatta di tante piccole “stanghette” verticali che presenta una tacca in particolare, tra quelle verticali, più grandi delle altre. Quella tacca più grande si sposterà in funzione del tipo di luce che viene rilevato dalla fotocamera seguendo le vostre impostazioni in uso, pertanto, regolando diaframma, ISO e tempo di esposizione, potrete subito rendervi conto se, secondo la fotocamera, la foto risulta correttamente esposta oppure no. Per verificare quindi se la vostra foto è correttamente esposta (sempre secondo la fotocamera) è sufficiente regolare i vari parametri usando le ghiere funzione e assicurarsi che la tacca verticale più grande si posizioni nel centro della barra orizzontale.
In sostanza quindi, un esposimetro riesce a rilevare la luce in ingresso, oppure la luce in un preciso punto, e capire le possibili impostazioni da utilizzare, a seconda ovviamente del tipo di luce, della scena, della zona in cui state “puntando” la fotocamera e così via.
Per amore della conoscenza, è giusto che sappiate che esistono due tipi di esposimetri: a luce riflessa e a luce incidente.
Esposimetri a luce incidente
Gli esposimetri a luce incidente sono dei dispositivi fisici (ed esterni alla fotocamera) che sono caratterizzati da una struttura rettangolare (che assomiglia ad un grosso DJI Osmo Pocket) con una sorta di sfera in alto.
Immaginate di prendere una DJI Osmo Pocket, ingrandirla a dismisura con del viagra e montare con un po’ di scotch un classico sensore di movimento per la luce.
Ok, è un pessimo esempio ma rende l’idea, potete fare finta di nulla.

Ad ogni modo, bazzecole a parte, la semisfera bianca è in grado di rilevare la luce in ingresso una volta posizionata nel punto in cui vogliamo effettuare questa rilevazione precisa per capire i dati di scatto. Tali esposimetri sono incredibilmente precisi e vengono utilizzati nella fotografia ritrattistica e nella fotografia in studio per valutare, ad esempio, l’esatta esposizione sull’incarnato di un soggetto (es.: il viso).
Grazie ad un esposimetro a luce incidente, nel momento in cui lavorate davvero con la fotografia, potete avere un valido aiuto per misurare la luce e capire quali dati di scatto sono consigliati da usare in quel preciso punto misurato al fine di far risultare una foto correttamente esposta. Chiaramente si tratta di dispositivi ad uso professionale, pertanto, se la vostra è solo una passione e, soprattutto, se non avete uno studio, è senz’altro una spesa inutile.
Esposimetri a luce riflessa
Il secondo tipo di esposimetri si chiama “a luce riflessa“, e se avete una fotocamera mirrorless, reflex, bridge o comunque piuttosto “recente”, beh, ne avete già uno in possesso. Sì, perché un esposimetro a luce riflessa è integrato nella fotocamera e, di solito, potete vederlo all’interno del mirino oppure, a scelta, sul display posteriore. Ricordate le varie “tacchette” di cui vi parlavo poco sopra? Ecco, quello è l’esposimetro a luce riflessa.
Se guardate l’immagine qui sopra, troverete qualcosa di simile all’interno della vostra fotocamera. Certo, magari i numeri non saranno visibili e ci saranno solo delle “tacchette”, come dicevo poco sopra, ma, più o meno, l’estetica è quella che vedete qui.
Ecco, vi ho messo anche quello con le famosissime tacchette di cui vi parlavo sopra, così posso dimostrarvi che esiste davvero. Non sono pazzo, giuro. Vedo le tacchette, sempre.
Si chiamano esposimetri a luce riflessa ma sono meglio conosciuti come “TTL” in quanto il tipo di misurazione che viene fatta (detta anche “valutazione dell’esposizione”) avviene tramite la luce che passa all’interno dell’obiettivo montato, da qui deriva “TTL”, ovvero “Through The Lens” (attraverso gli obiettivi).
Pertanto, la domanda vi sorgerà spontanea: se ho già questo meraviglioso esposimetro integrato, perché dovrei comprarmi il DJI coso con lo scotch esterno? E soprattutto, se ho già un esposimetro integrato nella fotocamera, perché dovrei spendere più di 300€ per acquistarne uno esterno che fa solo quello e non fa le foto? (e aggiungerei anche dei numeri a caso e dei punti d’esclamazione per dimostrare la mia indignazione: !1!1!1!gomblododh!1!1!).
La risposta è presto detta: un esposimetro a luce riflessa (questo qui di cui stiamo parlando, quello nella fotocamera), presenta varie problematiche relative al cromatismo del soggetto o alle caratteristiche fisiche del materiale di cui è composto. Questo significa che potrebbe facilmente succedere che l’esposimetro a luce riflessa venga “ingabolato” dalle caratteristiche della scena inquadrata, restituendovi pertanto dei valori di tempo e diaframma non corretti che risulteranno in una foto sottoesposta oppure sovraesposta, a seconda dei casi.
Questo succede perché, ciò che permette ad un esposimetro di valutare la luce presente nella scena e quindi restituirvi dei valori precisi è la presenza di elementi fotosensibili, come ad esempio il Silicio, il Selenio e il Solfuro di Cadmio (CdS).
Ognuno di essi, reagendo tramite dei fotoni, emette una piccola e debole carica elettrica che viene poi amplificata e trasformata in un valore di tipo tempo e diaframma. L’elemento che viene utilizzato negli esposimetri interni delle fotocamere reflex è il silicio in quanto presenta una risposta molto più veloce alla luce e ingombri incredibilmente ridotti (do you know “microprocessori”?)
Esposimetri a luce riflessa: quali possono essere i limiti? E perché hai scritto “gombloddoh!1!”?
Come scritto poco sopra, gli esposimetri contenuti all’interno di reflex, mirrorless e altre fotocamere, analizzano la luce riflessa proveniente dal soggetto e che passa all’interno del nostro obiettivo (da qui “TTL“, ricordate? No? E allora tornate su, proprio qui sopra). Tali esposimetri sono tarati, in fase di costruzione e test, sul valore di riflettenza del grigio medio 18%, il quale presenta il valore di riflesso tra i più comuni sulla superficie terrestre.
Però, dato che “is not everything roses and flowers“, ci sono alcune problematiche nelle rilevazioni proprio per questo motivo: immaginate di essere a sciare sull’Everest, giusto perché siete dei folli incredibili, e decidiate di fare una foto all’influencer di turno che vuole mostrare al mondo quanto è fortunato lui ad essere lì. Se decidete di catturare la scena sfruttando l’esposimetro a luce riflessa all’interno della vostra fotocamera, noterete che il tipo di valutazione che viene fatta dal dispositivo risulterà “drogata” dall’eccessivo bianco della scena, e quindi il risultato verrà sottoesposto oppure sovraesposto.
Ok, e perché?
Succede perché il tipo di misurazione di un esposimetro a luce riflessa non è sempre affidabile, soprattutto in casi come questi. Dato il tipo di misura e i materiali utilizzati, il problema si pone proprio nel momento in cui si misura un monocromatismo di soggetti la cui “riflettanza” si discosta in maniera eccessiva dal valore del grigio medio 18% su cui sono tarati. I soggetti di colore bianco, come la neve ad esempio, presentano un potere di riflettanza del 36% (doppio di quello del grigio medio), quindi, il nostro esposimetro, tenderà a sottoesporre la scena a causa di questa discrepanza. Succede più o meno la stessa cosa, ma al contrario, con i soggetti neri: l’esposimetro tenderà a consigliarvi una sovraesposizione.
Contando ciò che avete appena appreso, se siete usciti vivi da questo Potpourri di termini chimici da Breaking Bad, il modo più semplice e rapido per risolvere tali problematiche è la compensazione dell’esposizione. Si tratta di una piccola ghiera di cui sono fornite la maggior parte delle fotocamere (diversamente la trovate come funzione integrata) che alza o abbassa il tipo di esposizione rilevato. Spostandovi quindi di punti (si chiamano “punti EV“, discorso simile agli “STOP” ma usati con la luce), e passando da 0 a -3 oppure arrivando fino a +3, riuscirete a bilanciare la scena e raggiungere la foto che speravate.
Certo, questo è un caso “borderline“, al limite, ma di fatto potrebbe capitarvi che vi regalino una fotocamera per Natale e voi, per provarla, vi lanciate subito sulla neve a caccia di influencer da fotografare. Pertanto, in caso di soggetti chiari vi basterà sovraesporre forzatamente, in caso di soggetti scuri potrete sottoesporre (sempre qualora non sia possibile farlo con la coppia tempo/diaframma).
Il messaggio finale, pertanto, è il seguente: non fate troppo affidamento all’esposimetro interno della fotocamera, imparate la tecnica e cercate di ignorarlo il più possibile. Solo così imparerete a fotografare, perché ricordate: l’obiettivo migliore al mondo rimarrà per sempre il vostro occhio. Peccato che non si possano stampare i ricordi che avete nella vostra testa, se no sarebbe tutto più semplice.
Tempo di esposizione: conclusioni
Avrete sicuramente la testa piena di concetti, idee, fotomontaggi terribili, luce che rimbalza e tanto altro, ma, di fatto, se avete seguito la guida sul tempo di esposizione con la giusta attenzione, adesso sapete (quasi) tutto ciò che c’è da sapere per questo argomento. È il momento di prendere la fotocamera, uscire e andare a fotografare. La cosa interessante è che viene scritto in quasi ogni guida basilare su FotoNerd di “uscire a fotografare” dopo aver appreso i concetti, pertanto io mi immagino voi che alla fine di ogni guida uscite e fotografate, per poi tornare a leggere un’altra guida quando vi sentite pronti.
Sappiate che l’esposizione, e, di conseguenza, il tempo di esposizione, fa parte dei fondamenti della fotografia. Non si può non sapere come funziona il tempo di esposizione prima di iniziare a fotografare seriamente, pertanto, aspettate a fare le foto con le lucine a scie, la via lattea di notte, Valentino Rossi in pista e quant’altro, concentratevi prima sulla base. Potete iniziare dai gattini, si.
Tempo di esposizione: potrebbe interessarti anche…
Se ti senti pronto a sperimentare o ad approfondire ancora qualcosa sull’esposizione in fotografia, abbiamo preparato queste guide su come fotografare che potrebbero tornarti utili sicuramente: