Approcciarsi alla recensione di un film scritto e diretto da Wes Anderson non è mai impresa semplice. Di conseguenza, The French Dispatch, ultima fatica del regista, non fa eccezione. Il film, disponibile nelle sale da qualche settimana, è un caleidoscopio visivo di notevole spessore, a tratti eccentrico, ma nel complesso fluido e accattivante. Ecco dunque la nostra The French Dispatch recensione.
The French Dispatch recensione: una doverosa introduzione
Ogni volta che si parla di Wes Anderson, o soltanto si introduce l’argomento, le opinioni sono sempre divisive. I lavori del regista, costantemente in bilico tra la dimensione cinematografica e quella puramente artistica, si pongono allo spettatore come un mondo a parte, da scoprire passo per passo. Una dinamica che fa storcere il naso a chi, in una data opera filmica, cerca soluzioni di intrattenimento, dalla trama lineare, finanche scontata.
Wes Anderson, da alcuni considerato come regista indipendente, ha in realtà già conquistato il grande pubblico con le sue opere. Film come Moonrise Kingdom, o il più recente (ma neanche tanto) Grand Budapest Hotel hanno consacrato il regista come uno dei più visionari della nostra epoca. Eppure, sebbene Anderson goda di una nutrita schiera di sostenitori, c’è anche chi critica i suoi lavori, considerandoli manieristi, se non addirittura noiosi. Vi dirò la mia, senza peli sulla lingua: Wes Anderson non è un regista per tutti.
I lavori di Anderson si distinguono per una costante e ossessiva ricerca dello stupore visivo. Il suo tocco, alla stregua dei grandi artisti, è riconoscibile anche a chi ha poca dimestichezza con le sue opere. La cifra stilistica dei suoi lavori punta alla perfezione nella scelta dei colori e alla spasmodica ricerca della simmetria in tutte le inquadrature. Non a caso Robert Yeoman, esperto direttore della fotografia, è una presenza fissa nei film del regista, che si pongono sempre l’obiettivo di meravigliare, prima di raccontare. I dialoghi, spesso semplici e incisivi, sono la firma più tangibile che Anderson appone alle sue pellicole quando si occupa anche della sceneggiatura. Alla luce di queste coordinate, The French Dispatch rispetta pienamente il canone del suo creatore, e tale assunto vale per i pregi (molti) e i difetti (pochi) della pellicola. Andiamo con ordine.
The French Dispatch recensione: le storie più belle nascono sui giornali
The French Dispatch, il cui nome intero è in realtà The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun racconta una serie di vicende di puro stampo giornalistico. La trama, infatti, si dipana sulla scia di un giornale, il “The French Dispatch”, supplemento settimanale del quotidiano Evening Sun, pubblicato nella città fittizia di Ennui-sur-Blasé. Il film è stato in realtà girato nella città di Angoulème che, tra l’altro, è anche sede di un rinomato festival del fumetto francese.
In un’intervista rilasciata al The New Yorker, Anderson ha dichiarato di aver sempre avuto voglia di fare un film antologico. Inoltre, per il suo The French Dispatch, l’ispirazione è giunta proprio dal The New Yorker, che ha conquistato l’attenzione del regista in età adolescenziale e universitaria.
Torniamo alla nostra recensione. Tutto inizia quando il direttore Arthur Howitzer Jr. spira improvvisamente a causa di un infarto. Le sue ultime volontà recitano che il giornale, dopo la sua morte, debba essere pubblicato un’ultima volta. Nel numero conclusivo verranno raccolti gli articoli più incisivi delle passate edizioni, accompagnati da un necrologio.
L’incipit della storia preannuncia la struttura dell’intera opera, che si divide in quattro racconti separati e un epilogo. All’interno di ciascun racconto, illustrato e sceneggiato proprio come fosse un articolo di giornale, vivono storie di quotidianità, raccontate con passione dai giornalisti del The French Dispatch. Ogni vicenda porta all’interno della pellicola un punto di vista sempre diverso e arricchente. Le tematiche, inoltre, sono varie e si muovono in contesti ibridi, in bilico tra cronaca, arte e frammenti di attualità cittadina.
In questa ambiziosa trasposizione della carta stampata su schermo vivono una serie di personaggi di natura e ambizioni differenti. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un tratto caratteristico di Anderson, una sorta di cliché che contraddistingue la sua intera filmografia. The French Dispatch, infatti, può vantare un cast decisamente stellare, composto da attrici e attori di primissimo livello.
The French Dispatch recensione: non esistono piccoli ruoli, ma piccoli attori
La nutrita lista di interpreti che prestano il loro talento in The French Dispatch dona un valore aggiunto all’intera opera. Esatto, perché ogni attore che si muove in questo manifesto d’amore al giornalismo è perfettamente incasellato all’interno del suo ruolo. Ciascuno di loro ha il merito di riuscire dare al proprio personaggio quelle connotazioni che trascendono i dialoghi e sfociano nel desiderio di approfondimento. Esattamente come quando si legge un articolo ben scritto.
Il direttore del giornale, Arthur Howitzer Jr, interpretato dal grande Bill Murray, è un uomo burbero, diretto, ma di gran cuore. Murray, tornato di recente a interpretare il Dottor Peter Wenkman in Ghostbusters: Legacy, è una costante nei film di Anderson, un vero e proprio attore feticcio. Presente già nel secondo lungometraggio di Anderson, Rushmore, Murray ha poi recitato in tutti i film successivi del regista, compreso L’isola dei Cani, film d’animazione in stop motion del 2018.
Un’altra costante presenza all’interno della filmografia di Anderson è Owen Wilson. In The French Dispatch Wilson interpreta il giornalista Herbsaint Sazerac, protagonista del primo breve racconto, subito dopo l’introduzione dell’opera. Allo stesso modo, Adrien Brody, nei panni dell’astuto mercante d’arte Julien Cadazio, non è nuovo alla collaborazione con il regista.
Frances McDormand, fresca vincitrice del premio Oscar come miglior attrice protagonista in Nomadland (film diretto da Chloé Zhao, in cabina di regia anche per l’ultimo blockbuster del MCU, Eternals), interpreta la frizzante giornalista Lucinda Krementz. La donna si trova a interagire con un gruppo di giovani ribelli capitanati da Timothée Chalamet, anche lui salito alla ribalta per il meraviglioso sci-fi, Dune.
Da segnalare anche la presenza di Jason Schwartzman (giunto al settimo film con il regista), Benicio Del Toro, Léa Seydoux, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Edward Norton, Willem Dafoe, Saoirse Ronan e del grande Christoph Waltz. Un parterre pregno di talento che, come detto in precedenza, rende The French Dispatch un saggio di bravura attoriale.
Ennui, una città dove le immagini raccontano più delle parole
Il primo racconto di The French Dispatch “Il reporter ciclista“, è a cura di Herbsaint Sazerac, che in sella ad una bicicletta pedala amabilmente per le strade di Ennui. Uno sguardo rapido è sufficiente per incasellare alla perfezione la direzione cui la pellicola vuole dirigersi. Le immagini si susseguono, intervallate da un racconto essenziale, che punta a lasciare spazio alla meraviglia visiva.
La città, dapprima deserta, si riempie all’improvviso di colori, movimenti, porzioni di vita mostrate con una tale accuratezza da rendere superflua la voce fuori campo. Wilson, con il suo celebre volto sornione, costeggia le strade cittadine, e rompe la quarta parete guardando negli occhi lo spettatore. Il suo racconto spazia da dettagli tecnici a notizie metereologiche, fino a scendere in segmenti scabrosi, reali, illustrati con una cinica ma serena leggerezza. In conclusione, l’occhio attento del direttore Howitzer scandaglia con cura ogni singola frase, e smussa l’articolo quel tanto che basta per renderlo pubblicabile.
La fase di revisione degli articoli da parte di Howitzer si ripeterà alla conclusione di ciascun racconto. In questi frangenti il direttore puntualizza alcuni concetti e individua tratti che, a suo dire, saranno in grado di attirare l’attenzione del lettore.
Moses Rosenthaler: la discesa nel folle mondo di un’artista
Se il primo, breve racconto, di The French Dispatch pone l’accento sula pulsante vita cittadina, il secondo, invece, “Un capolavoro nel cemento“, punta l’attenzione sull’arte e sulla romantica vicenda di un pittore maledetto. Protagonista della storia è Moses Rosenthaler, interpretato da Benicio Del Toro, sanguinario assassino che si è macchiato di una brutale serie di omicidi. Confinato in prigione, l’uomo coltiva la sua passione per l’arte, che lo conduce a comporre dipinti per il puro gusto di ingannare il tempo passato in cella. Nel frattempo, la guardia carceraria, interpretata da Léa Seydoux, si innamora del galeotto, e accetta di posare nuda per essere immortalata nei suoi quadri. Notato dal mercante d’arte Julian Cadazio, al tempo in prigione per un reato minore, in poco tempo Rosenthaler diventa famoso, richiesto e bramato.
La vicenda, narrata dalla giornalista J.K.L Berensen, interpretata da Tilda Swinton, assume pieghe sempre diverse, muovendosi dalla comicità allo psicodramma della follia di Rosenthaler. La regia, che dovrebbe porsi sullo sfondo, diventa invece protagonista, aggiungendo dettagli incisivi all’intera narrazione. L’esempio più eloquente è la metodica alternanza tra il bianco e nero e i colori vividi. Dietro questa scelta, a parere di chi scrive, c’è l’intenzione di sottolineare la modernità del lavoro dell’artista. Infatti, l’immagine riprende colore nel momento in cui vengono mostrate le opere (solo le opere) di Rosenthaler e torna in bianco e nero nel resto della vicenda. Tale scelta registica si affianca alle consuete inquadrature simmetriche, che restituiscono l’idea che ogni singolo fotogramma del film sia in realtà uno scatto prezioso.
I tumulti del giovane Zeffirelli
La terza storia, “Revisioni di un manifesto”, ruota intorno a una protesta studentesca, guidata dal giovane Zeffirelli. A raccontare tutto è Lucinda Krementz che, in contrasto con il codice etico del giornalista si immerge a pieni polmoni nella protesta, contribuendo a stilare il manifesto della rivolta. Un’altra giovane studentessa, Juliette, mostrerà perplessità nei confronti del manifesto. Si innescherà, dunque, un atipico triangolo romantico tra Juliette, Zeffireli e Lucinda.
In quella che forse è la storia più debole del lotto, a brillare sono le scelte registiche di Anderson, che conferma quanto fatto finora, osando maggiormente su alcuni dettagli. Straordinaria è la sequenza in cui Zeffirelli si allontana in moto con Juliette, in una scena che pare esaltare la fresca innocenza della gioventù, a dispetto di un mondo sempre più cupo e disilluso.
I dialoghi sono serrati e, al pari del racconto precedente, si distinguono per la disarmante semplicità con la quale vengono spiegate le vicende. Uno dei grandi pregi di The French Dispatch è proprio la sceneggiatura, firmata ancora da Anderson, che quasi sempre (lo vedremo in seguito) riesce nell’impresa di tener testa a una regia costantemente sopra le righe, che mira con decisione all’appagamento visivo dello spettatore.
Questa audace intenzione trova compimento nell’ultimo racconto della pellicola, “La sala da pranzo del commissario di polizia”. L’articolo, inizialmente pensato per la sezione relativa alla cucina, in realtà ruota attorno al rapimento del figlio del commissario di polizia. A salvarlo, mediante un astuto stratagemma, sarà il famoso poliziotto chef–tenente Nescaffier. L’uomo verrà inviato nel covo dei rapitori e riuscirà ad avvelenarli cucinando per loro. A raccontarlo, durante un’intervista televisiva, è il giornalista Roebuck Wright, alias Jeffrey Wright.
In quella che sicuramente è la storia dal ritmo più sostenuto, le immagini si fondono alla narrazione, e l’alternarsi dei colori e del bianco e nero trova sublimazione in alcune scene che esaltano la bellezza degli interpreti. In tal senso, spicca la sequenza in cui una delle rapitrici, interpretata da Saoirse Ronan, si mostra al figlio del commissario attraverso uno spioncino e, in un contesto completamente in bianco e nero, l’unico fotogramma policromatico è il momento in cui la ragazza compare al bambino parzialmente celata dalla forma dello spioncino.
The French Dispatch recensione: l’epilogo, un necrologio che sa di rinascita
Le ultime sequenze del film si concentrano sulla scrittura del necrologio del direttore Howitzer. Si tratta di un momento di ricongiunzione: tutti i giornalisti sono riuniti in redazione con l’obiettivo di onorare la memoria del loro capo redattore. L’impegno che ciascuno dei protagonisti pone nella stesura del necrologio è un gesto che richiama la rinascita, la necessità tipicamente giornalistica di chiudere un capitolo per buttarsi rapidamente su un altro, solcando le onde della vita con al seguito una penna, un foglio e tanta voglia di raccontare.
The French Dispatch recensione: le conclusioni
The French Dispatch è una pellicola che non tradisce le attese. Dopo il successo di Grand Budapest Hotel, ultimo lungometraggio live action di Anderson, The French Dispatch si prende la responsabilità di osare ancora, sia in termini registici che di sceneggiatura, riuscendo nell’intento. La mano di Anderson è presente in ogni singolo fotogramma della pellicola, e la sua poetica trasuda lo schermo fin dalle prime battute del film.
Ecco, un piccolo (ma piccolo) difetto di The French Dispatch sta nel costante desiderio del regista di stimolare visivamente lo spettatore. Una pratica che, al netto della straordinaria fotografia, rischia di spostare l’attenzione sullo sfondo, sul contesto, svilendo la trama e interrompendo il flusso narrativo. Come ho già accennato prima, Anderson rimedia allo scompenso proponendo dialoghi serrati. Nonostante tutto, capita spesso che la sceneggiatura presti il fianco a un’immagine troppo potente per essere relegata a semplice “contorno”.
Sia ben chiaro, The French Dispatch non è un film che metterà d’accordo tutti: c’è chi lo troverà noioso, o chi ne lamenterà la lentezza. In tal caso, possiamo serenamente tornare alle parole che ho speso per introdurre la recensione: Wes Anderson non è per tutti. Il suo amore per il cinema, per il dettaglio, incontra la passione per il giornalismo: il risultato è un film che si prende i suoi tempi, ma regala agli appassionati un parentesi di grande cinema. The French Dispatch è l’ennesimo gioiellino del regista, da aggiungere e custodire in un altrettanto preziosa filmografia.
Recensione in breve
The French Dispatch
The French Dispatch è un omaggio al giornalismo che si concretizza mediante una regia eccezionale e una fotografia talmente curata da meritare ben più di una sola visione. Anderson porta su schermo un'opera a tratti manierista, ma che nel complesso sarà in grado di incantare, portando lo spettatore in un mondo parallelo composto di colori e di pura, luminosa, passione.
PRO
- Regia all'altezza delle aspettative
- Fotografia incredibile
- Dialoghi semplici, ma mai banali
- Cast di primo livello
CONTRO
- A tratti eccessivamente manierista