Ecco la recensione di ZERO, la nuova serie Netflix che abbiamo potuto vedere in anteprima. Questa nuova produzione italiana ci porta nella periferia milanese del Barrio. Seguiremo la storia di Zero, un ragazzo afrodiscendente che scoprirà di avere la straordinaria capacità di diventare invisibile. In questa recensione cercheremo di capire cosa ha funzionato e cosa invece si potrebbe migliorare, il tutto ovviamente senza spoiler. Buona Lettura!
ZERO Netflix Recensione: Supereroi nel Barrio
ZERO è la nuova produzione italiana di Netflix, l’ennesima ad avere un target principalmente giovanile. Dopo vari teen drama dalla forma più classica come Summertime, dalle atmosfere torbide del degrado underground romano di Baby passando poi per le tinte horror di Curon, ZERO si pone invece in un genere che ormai domina la scena della cultura pop degli ultimi vent’anni: quello supereroistico.
Attenzione però, non parliamo di uomini in calzamaglia capaci di sollevare automobili e oltrepassare grattacieli di venti piani con un salto. Quello è un tipo di eroismo tutto americano che noi non ci possiamo permettere (e non solo a livello di budget). No, mi sento abbastanza sicuro nel dire che il modello principale di riferimento cui ZERO attinge sia Lo Chiamavano Jeeg Robot, il primo tentativo (riuscito) di portare sul grande schermo l’archetipo del supereroe in Italia. La premessa narrativa di Jeeg era molto semplice: “cosa succederebbe se un insignificante scippatore di periferia acquisisse dei superpoteri?”. Ecco, ZERO prende questa struttura minimale e la fa sua: “cosa succederebbe se un ragazzo afrodiscendente della periferia di Milano scoprisse di poter diventare invisibile a comando?”. ZERO utilizza quindi la figura del supereroe come veicolo per l’espressione delle difficoltà che un giovane italiano di seconda generazione deve affrontare ogni giorno. Il tutto ovviamente va a mescolarsi con le caratteristiche tipiche di un teen drama: amicizia, primi amori e confronto generazionale sono il pane quotidiano per questo genere.
E infatti il protagonista non potrebbe essere che Zero, un timido ragazzo che imparerà a conoscere i suoi poteri quando il Barrio, il quartiere della periferia milanese da dove voleva scappare, si trova in pericolo. Zero (interpretato da Giuseppe Dave Seke) dovrà indossare gli scomodi panni di eroe, suo malgrado e, nella sua avventura, scoprirà l’amicizia di Sharif (Haroun Fall), Inno (Madior Fall), Momo (Richard Dylan Magon) e Sara (Daniela Scattolin), e forse anche l’amore. Formula standard, quella della sinossi appena descritta, che almeno sulla carta mescola in maniera perfetta le caratteristiche di un teen drama e quelle della figura del “supereroe con superproblemi”. Che poi la serie riesca a portare a casa il risultato beh, questo è un discorso che la recensione affronterà più avanti.
ZERO Netflix Recensione: Anime in conflitto
Dopo aver spiegato a grandi linee l’essenza della serie, questa sua dicotomia tra supereroi e teen drama, bisogna però anche tentare di rispondere ad un’altra domanda. Che cosa vuole essere ZERO? É una diversa da “di che cosa parla”, quella è la trama e ne abbiamo già discusso poco fa. La questione a cui rispondere adesso è “che tipo di storia si sta cercando di raccontare?”. La risposta, purtroppo, non è tanto semplice. O meglio, è la serie stessa a renderla complessa. Perché ZERO ha differenti anime che si scontrano continuamente tra loro. Cosa che fa muovere la serie in un’oscillazione continua tra ottime intuizioni sia a livello narrativo che tecnico, che però vengono inevitabilmente sporcate da momenti dove il livello generale si abbassa drasticamente. Il motivo di tutto ciò lo vedremo più avanti, ma il risultato è appunto un mix di situazioni dai toni troppo disgiunti tra loro perché il flusso narrativo possa apparire consistente.
ZERO è liberamente ispirata al romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, edito da Mondadori, ed è stata scritta dal medesimo in collaborazione con Stefano Voltaggio, Massimo Vavassori, Carolina Cavalli e Lisandro Monaco. Alla regia troveremo invece Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin.
ZERO Netflix Recensione: i punti forti
Il che non significa che sia tutto da buttare, ma è un peccato osservare le parti migliori della serie venire sminuite da un ritmo così altalenante. E c’è tanto di buono in Zero. Non lo dico nell’ottica del solito “per essere una serie italiana va bene”, espressione che potendo ritirerei dalla coscienza collettiva immediatamente. No, intendo proprio dire che le parti migliori di ZERO sono davvero buone. A cominciare dal cast, o meglio, dalla chimica impressionante che circonda i giovani attori. Chimica che produce i risultati migliori quando ai ragazzi è permesso di essere parte di un gruppo con alla spalle un vissuto che li accomuni tutti (ovvero la loro esperienza di italiani di seconda generazione che abitano nello stesso quartiere). Gli scambi più interessanti si possono osservare quando i personaggi si trovano a far parte di una comunità, a reagire con spontaneità alle situazioni, a scambiarsi commenti concitati…Insomma a ridere e scherzare come farebbero degli adolescenti. In particolare mi sento di fare una menzione speciale a Haroun Fall, interprete di Sharif. Escludendo le parti in cui il copione lo costringe a parlare di sé stesso in terza persona (non molte, ma comunque troppe), risulta essere il più convincente tra gli interpreti. Ma in generale, voglio ribadire che non c’è nessun membro del cast principale che non porti a casa una buona performance.E anche a livello tecnico la serie è ben realizzata. Anche se non eccelsa la regia è sicuramente competente, soprattutto per quanto riguarda la messa in scena dei poteri di invisibilità di Zero. C’è magari qualche incertezza a livello di montaggio e almeno un caso di ADR troppo (ma troppo) visibile, ma quelli fanno parti di ogni produzione e non ha senso farsi il sangue amaro al riguardo. Alla colonna sonora ha poi lavorato anche Mahmood, cosa che potrebbe piacere o meno a seconda dei gusti personali, ma è innegabile che sia stata scelta una persona in sintonia con l’atmosfera che la serie cerca di trasmettere. La cosa che mi sento di elogiare di più però sono le scenografie: anche se i luoghi del Barrio che vengono mostrati sono pochi, risultano essere ben costruiti e soprattutto trasmettono quell’aria di vissuto che un quartiere in quella situazione dovrebbe avere, mentre le location di Milano sono scelte in modo equilibrato e mai banale. Per riassumere il tutto: sia il comparto artistico che quello tecnico era sicuramente all’altezza della sfida che ZERO rappresenta. Il che ci pone di fronte alla vera questione di questa recensione: perché la serie non funziona?
ZERO Netflix Recensione: Possibilità mancate
Sarebbe facile, troppo facile, puntare il dito contro una trama eccessivamente semplice. Perché la trama di ZERO è a tutti gli effetti semplice: un ragazzo della periferia milanese, italiano di seconda generazione, emarginato dalla società e senza apparente possibilità di riscatto, scopre un giorno di possedere la capacità di diventare invisibile. Decide quindi di utilizzare questa sua nuova abilità per proteggere il Barrio, quartiere dove è cresciuto, da una minaccia che rischia di distruggere la sua casa e le persone a cui vuole bene. Non c’è niente di radicalmente nuovo in questa sinossi, nessuna sovversione particolare del genere: è una classica storia delle origini da supereroe. Magari c’è un contesto diverso, la periferia italiana non è sicuramente paragonabile alle metropoli statunitensi dove gli uomini in calzamaglia sono soliti agire. Ma la formula, l’archetipo, è sempre lo stesso. E una trama semplice non necessariamente comporta un prodotto di bassa qualità.
Generalmente un intreccio narrativo elementare permette di affrontare i tempi principali della storia in maniera più complessa e approfondita. E ci sarebbe tanto da approfondire in ZERO. Gli spunti sono tutti li: ci si potrebbe interrogare sulle difficoltà che vivere in periferia comporta, affrontare la questione della precarietà in cui i giovani italiani di seconda generazione vivono, delle difficoltà nel far conciliare in loro stessi l’esistenza di culture differenti o dell’impossibilità di riscatto verso il sistema che opprime le minoranze. Tutte cose che in ZERO sono presenti: tutte le tematiche sono portate alla luce e messe davanti agli occhi dello spettatore. Addirittura il personaggio di Zero traccia una linea netta tra il suo potere di invisibilità e il suo essere invisibile agli occhi del mondo che lo circonda in quanto ragazzo afrodiscendente. La serie è quindi perfettamente consapevole del carico tematico che porta con sé.
Il problema è che, con tutte queste possibilità, ZERO non ci fa nulla.
ZERO Netflix Recensione: in tutta fretta
Se, pistola alla testa, dovessi definire ZERO con un termine solo, la parola più appropriata sarebbe “fretta”. La serie è divorata dall’urgenza, dalla preoccupazione di portare avanti la trama ad ogni costo. Il problema è che, come in ogni opera narrativa, quando si da troppa importanza alla trama, a soffrirne è la storia. Quando parlavo di molteplici anime in conflitto, intendevo proprio questo. Innanzitutto c’è un problema legato al genere, perché la serie non riesce mai ad essere più cose contemporaneamente: inizia come teen drama, poi diventa un commento sulla situazione delle minoranze in periferia, spostandosi improvvisamente sulla figura del supereroe per poi tornare ad essere un teen drama. E la cosa si ripete, all’infinito, puntata per puntata, come se queste tematiche fossero sigillate ermeticamente in camere a tenuta stagna incapaci di mescolarsi tra loro; Come se si escludessero a vicenda. Perché intrecciare più cose vorrebbe dire doverle approfondire, e la serie non ha il tempo per farlo. Questo produce una serie di effetti a cascata che vanno a inficiare su tutto il resto. Vi ricordate quello che dicevo sugli attori? Sulla loro capacità di restituire l’affiatamento che un gruppo di amici dovrebbe avere? Ecco tutto ciò viene a mancare quando la trama, per necessità narrative, ha bisogno di scatenare conflitti per proseguire. E non potendo costruire la tensione drammatica in modo progressivo, le dispute tra i personaggi nascono e muoiono in un’ unica sequenza, risolvendosi qualche minuto più tardi, senza una vera costruzione. È a tutti gli effetti una forzatura, che va a rovinare anche il lavoro degli attori, che semplicemente non hanno il tempo di far crescere le proprie emozioni, con la conseguenza che spesso i personaggi appaiono stereotipati anche quando non lo sono o, al peggio, completamente non genuini. La vittima principale qui risulta essere Giuseppe Dave Seke, interprete del protagonista, che in virtù del suo ruolo si trova a dover reggere sulle proprie spalle un numero maggiore di scene particolarmente cariche, che però non è sempre in grado di portare a casa. Ma non gliene si può fare una colpa, è una questione puramente matematica: il protagonista ha più scene rispetto a qualunque altro personaggio, perciò ha più possibilità di sbagliare. E non potendo contare su una progressione organica della storia, non sorprende che spesso la recitazione non sia in grado di stare al passo.
Un vero peccato perché, come ho già detto, gli attori sono tutt’altro che incapaci. Altra vittima di questa chiusura a compartimenti stagni è la coesione narrativa tra episodi. Sembra proprio che manchi un filo conduttore tra un episodio e l’altro, tanto che spesso i personaggi e le situazioni risultano cambiare radicalmente tra la fine di una puntata e l’inizio della successiva. Cosa alquanto strana se si pensa che l’intera vicenda narrativa sembra prendere piede nell’arco di poche settimane. Ancora una volta, questo è dovuto alla necessità di far progredire la trama ad ogni costo, sacrificando tutto il resto. Le poche linee narrative secondarie della serie sono quindi abbandonate fino al momento in cui acquistano importanza per la narrazione, ma questo può significare che una cosa che viene a malapena menzionata nel primo episodio si riveli essere assolutamente fondamentale nell’ultimo. Il che rende difficoltoso il coinvolgimento, dato che si fa fatica a capire dove concentrare la propria attenzione. Il risultato è che lo spettatore è portato a ignorare qualunque cosa non sia fisicamente presente sullo schermo in quel momento. I personaggi, gli oggetti o le situazioni che non vengono direttamente prese in ballo in una scena è come se cessassero di esistere, rimanendo in uno stato di sospensione dove resteranno fino al momento in cui saranno chiamate di nuovo in essere. E questo è il meno, perché nel peggiore dei casi la serie adotta la strategia inversa, ma altrettanto fastidiosa, ovvero quella di presentare allo spettatore elementi completamente nuovi, ma fingendo di averli menzionati in precedenza. Senza fare spoiler, il caso più eclatante riguarda la comparsa di un personaggio assolutamente fondamentale per lo sviluppo narrativo. Questo personaggio appare per la prima volta nel quinto episodio, e quando Zero arriva ad incontrarlo lo sentiamo affermare che “mi hanno parlato tanto di lui”, quando questo non è assolutamente vero. Se fosse un caso isolato non sarebbe un problema, ma la serie usa questo metodo in continuazione, e ogni volta è più frustrante di quella precedente.
ZERO Netflix Recensione: cosa è andato storto
Questa fretta, che in buona sostanza rovina quello che di buono ZERO ha da offrire, può essere dovuta a diverse ragioni, che però non sono in grado di confermare e quindi rimarranno semplici congetture. In primo luogo, il tempo totale che la serie ha a disposizione è davvero limitato. ZERO è composta da otto episodi di venticinque minuti circa ciascuno. Al netto della mole di situazioni che la serie affronta, mi sento di dire che aggiungere dieci minuti ad ogni puntata sarebbe bastato, quantomeno a limare alcune forzature e regalare più profondità ai personaggi. In secondo luogo, una buona parte degli ultimi episodi sembra dedicata ad introdurre situazioni che si svilupperanno in una eventuale seconda stagione. Non è una cosa di per sé sbagliata, ma quando questo va a occupare spazio ad un prodotto che già fatica a valorizzare il suo tempo, beh, ormai avete capito dove voglio arrivare. La stragrande maggioranza delle problematiche di ZERO è di tipo narrativo e per questo non c’è modo di ignorarle.
ZERO Netflix Recensione: conclusioni
Tutto sommato però, non mi sento di bocciare la serie in toto. Basterebbe veramente una visione di insieme più uniforme e qualche limatura qua e la per rendere ZERO un prodotto di tutto rispetto. Se ci sarà una seconda stagione, mi auguro venga utilizzata per rafforzare e valorizzare i punti di forza che già ci sono: il cast, non mi stancherò mai di ripeterlo, è assolutamente all’altezza della situazione, così come la regia e gli effetti speciali. Anche la storia può diventare interessante, se avesse più tempo di svilupparsi in modo più organico e progressivo. Le basi per continuare ci sono, ma non bisogna aver paura di dare la priorità a quello che nella serie funziona. Soprattutto è importante non favorire la trama a discapito della storia. ZERO non va vista quindi come un’occasione mancata, ma come un piccolo passo nella direzione giusta. Basterebbe veramente poco per tirarne fuori un prodotto di qualità.
Sperando di avervi invogliati alla visione, vi ricordiamo che ZERO sarà disponibile su Netflix a partire dal 21 Aprile 2021.
Recensione in breve
ZERO
Una serie promettente che però non riesce mai del tutto a decollare. L'urgenza eccessiva di far proseguire la trama toglie spessore alla storia e ai personaggi. Un vero peccato, ma restano speranze per il futuro.
PRO
- Un ottimo cast davvero affiatato cast
- Location sapientemente sfruttate
- Comparto tecnico solido
CONTRO
- Troppa fretta negli sviluppi
- Viene data priorità alla trama sacrificando la storia
In base ai difetti elencati, la sufficienza dovrebbe sognarsela. Eccesso di indulgenza? In Italia si continua a promuovere progetti mediocri, dando la solita impressione che certi meccanismi inconfessabili contino più della professionalità e delle basi tecniche. Non si dovrebbe uscire sul circuito Netflix con un prodotto del quale può essere premiata solo la buona volontà. Cmq almeno qui avete evidenziato gli innegabili e gravissimi difetti e ve ne dò atto. Altrove ho letto patetici depliants pubblicitari contrabbandati per recensioni.